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Sicilia Queer #9 - Day 4
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Dopo il recupero in extremis dei due cortometraggi di Mike Hoolboom, (S)he Said ThatA Boy's Life (piuttosto mediocri, a dire il vero; il primo abbastanza didascalico nonostante lo schematico tentativo sperimentale, mentre il secondo di poco più interessante ma anche abbastanza ovvio nelle intenzioni), ci si inoltra in una quarta giornata Queer più leggera delle precedenti in termini di quantità di visioni: solo tre lungometraggi.

 

locandina

To See a Woman (2017): locandina

 

Ver a una mujer di Monica Rovira (parte della giuria internazionale di questa edizione) è un esperimento avanguardistico che cerca di raccontare, dapprima in maniera evasiva e poi con dialoghi espliciti e ripetitivi, il sentimento di amore e di delusione delle due protagoniste, prima vicine e poi lontane. Il film è un progetto nato in itinere a partire dall'assemblamento di più materiali, a volte neanche destinati ad un film secondo le intenzioni originarie. Ma il risultato è un po' un pasticcio. Nonostante le buonissime intenzioni, e l'evidente sofferenza che, si avverte, deve esserci stata in fase di realizzazione, il film rinuncia a mantenere il rigore evanescente e impenetrabile dei primi venti minuti per lasciarsi andare a noiosissimi dialoghi nella seconda parte, per di più privati di qualsiasi contestualizzazione precisa, e vaghi, troppo generali, nel tratteggiare la natura della relazione amorosa protagonista. La regia, che prima risultava più amatoriale, opportunamente grezza e per nulla "lucidata" dal ricorso al b/n, diventa poi decisamente più dozzinale, e soltanto in brevi momenti dotata di quello spaesante senso di stordimento che pure i primi venti minuti suddetti riuscivano a procurare. Comunque è un'opera prima, e in quanto tale non può essere definitiva sulla qualità della regista.

Voto: 4/10

 

locandina

Cassandro, the Exotico! (2018): locandina

 

E' poi il turno di Marie Losier. Nel caso di Cassandro, the exotico!, presentato ad Acid Cannes nel 2018, lo stile della regista francese sembra farsi un attimo più ordinario, almeno apparentemente. Lo spirito ludico e spiritoso del montaggio permane, ma stavolta all'aleatorietà del montaggio degli altri suoi lavori - spesso privati di audio e accompagnati da musiche e da voice over - la Losier preferisce una presa diretta più istintiva, che va dai dialoghi tra Cassandro e la Losier stessa (sempre "nascosta" dietro la cinepresa se non durante i dialoghi su Skype) fino al rumore di ambienti e di gesti che il wrestler omosessuale protagonista ripete per allenarsi nella sua disciplina. E che disciplina!, assolutamente coerente con lo spirito del cinema della regista. Se proprio però si vuole cercare l'ago nel pagliaio, il film racconta la sua storia - una sintesi di 7 anni di riprese - con un montaggio che sembra meno libero del solito, si concede qualche gag ma perde i contrappunti e le sterzate delle opere precedenti della regista. Anche se è proprio questo "rallentamento" che concede all'opera di approdare su territori più sospesi e intriganti nella fase finale, in cui Cassandro si infortuna, si convince di non poter più combattere e in preda alla depressione sembra lasciarsi andare non solo al ricordo dei bei tempi che furono ma anche a misteriose pratiche sciamaniche assolutamente imprevedibili. 

Voto: 6/10

 

locandina

Il funerale delle rose (1969): locandina

 

Infine il pezzo grosso della giornata, il capolavoro di Toshio Matsumoto Il funerale delle rose, anno 1969. Coacervo inesauribile di idee, azzardi e sperimentazioni che pescano a pienissime mani dalla Nouvelle Vague - Godard, Truffaut, e dalla lettura di quest'ultimo del cinema di Alfred Hitchcock - il film costituisce un'opera-manifesto per il cinema giapponese dell'epoca. Certo, forse deve troppo il suo carattere di cult alla tematica LGBT, che introduce una questione serissima e attuale in un contesto cinematografico che normalmente preferiva una certa vacuità, oppure un più vago anticonformismo (d'altronde, Nagisa Oshima all'epoca riusciva ad essere più raffinato nel rielaborare i costrutti visivi dei suoi predecessori), ma l'energia feroce e distruttiva del film di Matsumoto è certamente da premiare a prescindere. Un film di segni e di elementi che viaggiano liberamente avanti e indietro nel tempo, che sbucano fuori come sincopi improvvise e poi, singhiozzando, si ridistribuiscono sulla narrazione per illustrare traumi e modalità con cui il protagonista travestito, Eddie, si appresta ad impazzire. Intanto, il Giappone dell'occidentalizzazione, tutto sesso droga e rock'n'roll vissuti con entusiasmo naif e inconsapevole, ma pericolosamente vicino alle strade del maledettismo. Il film appare inoltre estremamente coeso nonostante le azzardate interruzioni della marcia in avanti, con parentesi che paiono quasi d'animazione, svolazzi d'avanguardia che citano - esplicitamente, in un dialogo! - Jonas Mekas e segmenti documentaristici di fuoriuscita dalla fiction; e in tutto questo traffico di emozioni e situazioni si può toccare con mano il desiderio, da parte di Toshio Matsumoto, di dialogare con una macchina cinema che in quel momento vedeva un proficuo scambio di idee tra Oriente e Occidente per riscrivere i confini del cinema pop, del cinema di genere e del cinema tutto. Un entusiasmo intellettuale che ancora oggi sopravvive nel suo carattere spiritoso ancor più che in quello realmente eversivo. Nella versione restaurata, non appare invecchiato di una virgola.

Voto: 7,5/10

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