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Delon et nous
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Dopo aver letto il bel post omaggio di Maghella su Alain Delon, ho pensato che forse era questa una buona occasione per qualche riflessione sul personaggio-attore Delon, sul rapporto Delon-Francia e Delon-mondo.

L’attore francese si è indubbiamente imposto sia per le sue qualità estetiche sia per quelle recitative, rompendo il cliché dell’attore bello ma vuoto. Si è portato appresso la fama di bello, splendido amatore ma ha dimostrato nei fatti di essere un grande attore. A me sinceramente non interessa soffermarmi sulle sue qualità estetiche, peraltro ricordate nel post citato; mi interessa soprattutto il Delon attore, che ha poco a poco convinto i critici francesi, in primis, di cui si conosce la passione e la competenza.

Luchino Visconti , lo sappiamo, è un vero artista quasi rinascimentale per il senso estetico e l’immenso bagaglio culturale. Nessuno come lui ha percorso, con uguale disinvoltura, i sentieri ardui e pericolosi del cinema, del teatro e della lirica. In Delon vedeva personificata (così come con Helmut Berger) la figura della bellezza, della purezza stilistica, dell’ideale estetico al grado più alto. E’ stata probabilmente l’esperienza con Luchino a lanciare Delon, ancora più che con René Clément (IN PIENO SOLE), in modo prepotente nel firmamento del cinema. Dopo diverse interpretazioni in cui si esaltano soprattutto le sue qualità di sex symbol, arriva Jean-Pierre Melville, re del polar e ne fa un eroe con delle sfaccettature impensabili. Per la verità, qualcosa si era intuito in ROCCO E I SUOI FRATELLI, in quel suo personaggio puro e cupo.

Ma con Meville, Delon tocca vertici interpretativi straordinari. La sua maschera da duro (sia poliziotto, sia fuorilegge) ha un fascino misterioso irresistibile. L’intreccio narrativo che solo un grande regista come Melville riesce a dirigere (e che non ha nulla da invidiare ai Crime Movies americani) e la figura inflessibile e glamour al tempo stesso, fanno un tutt’uno, un vero e proprio unicum a cui molti epigoni anche nostrani si sono ispirati.

 

Stranamente, pur se ci ha lavorato in alcune produzioni non memorabili, con Hollywood non mai scattata la scintilla. Il pubblico non si è mai appassionato e i suoi film girati in terra americana si sono rivelati dei flop. La causa va forse cercata nel suo essere così orgogliosamente “francese”, nel suo non piegarsi a certi condizionamenti, certi compromessi sia con la produzione sia con il regista. Il pubblico americano non perdona determinati comportamenti, ma credo che il motivo principale sia nella scarsa qualità dei film interpretati (NE’ ONORE NE’ GLORIA di Mark Robson e TEXAS OLTRE IL FIUME di Michael Gordon, peraltro due registi discreti).

Il successo italiano ha diverse cause. La prima è sicuramente dovuta al suo indubbio fascino che non si è mai annacquato, malgrado gli anni. Anzi, invecchiando, ha arricchito la sua figura di un glamour particolare, quella capacità seduttiva che solo certe persone mature possiedono (come nel caso di Sean Connery, Cary Grant e il nostro Mastroianni).

La seconda è, che dietro la facile maschera della bellezza, si indovina un individuo tormentato, inquietante e terribilmente affascinante. E’ questa caratteristica che Valerio Zurlini, nel suo straordinario LA PRIMA NOTTE DI QUIETE, vuole rappresentare. Si tratta di un personaggio quanto mai complesso, a tratti misterioso, a tratti fragile. Zurlini realizza qui un capolavoro scavando dentro il personaggio in modo quasi crudele (scontrandosi, a quanto pare e spesso con il bell’Alain) ma ottenendo un risultato memorabile.

Forse non è proprio questo tipo di attore di cui il pubblico italiano si è innamorato, ma è senz’altro quello di cui si sono innamorati i critici.

La Francia si è spesso divisa con l’andar del tempo su Delon. Dopo un inizio entusiasmante, molti hanno cominciato a criticarne certi eccessi e certe disinvolture (l’affaire con la Schneider), la storiaccia, mai del tutto chiarita, con il delitto della sua guardia del corpo e che portò alla luce particolari ben poco edificanti di storie di droga e sesso presenti nel suo entourage. Infine, non poche polemiche ha suscitato la sua posizione politica (ha sempre parteggiato per il Gaullismo e la destra, ultimamente con la Le Pen) e la sua interpretazione in un film per la TV di un commissario di polizia di Marsiglia, Montale, di idee progressiste, così contrarie alle sue convinzioni.

Qui in Italia, non si è mai dato gran peso a queste cose. Delon parrebbe rappresentare quanto c’è di meglio oltr’Alpe, soprattutto in un periodo come questo, in cui la Francia non gode di grande considerazione da noi. C’è da tempo un diffuso senso di fastidio per i nostri cugini, accusati di sentirsi superiori a noi e gonfi fino a scoppiare di una grandeur senza basi obiettive. Ma queste sono considerazioni sterili che allignano soprattutto tra gli sprovveduti. Però, parlando di Delon, il nostro Paese gli ha sempre dimostrato affetto e stima. Il grosso pubblico, soprattutto femminile, non ha mai smesso di amarlo e perdonargli di tutto. La critica e gli spettatori più avveduti, nonostante tutto, continuano a vedere in lui un connubio straordinario di qualità interpretativa e di presenza scenica, una miscela irresistibile di fascino misterioso di artista “maudit” e di amante meraviglioso. Lui poi in Italia è di casa, è sempre un ospite richiestissimo e da noi si trova a meraviglia. In un Paese come il nostro dove il gusto estetico è un “must” che tutti ci riconoscono, Alain non poteva non essere una vera e propria icona.

Delon è diverso dal tipo di attore francese che siamo abituati a conoscere. Ha il fascino “malin” di Jean Gabin, non ne possiede la profondità ma ha un tocco in più di sex-appeal. Non ha la simpatia di Jean-Paul Belmondo, non ha la carica umana di Daniel Gelin, la signorilità di Paul Meurisse, l’intensità di Jean Marais. Per venire all’attualità, non vedo attori le cui caratteristiche si avvicinino più di tanto a Delon. Lo stesso Daniel Auteuil non mi sembra averne né il carisma né il fascino, pur ritendendolo fra i migliori artisti transalpini. Delon è semplicemente Delon, un attore capace di riempire da solo lo schermo, di fare di un piccolo film un grande film. Se mi si consente una preferenza personale, non posso non citare ancora il professor Dominici (il cui cognome nel film nasconde forse quello di Caccia Dominioni) e le splendide sequenze iniziali e finali. Uno straziante assolo di tromba accompagna questo professore di letteratura, mentre cammina lungo il molo di Rimini, immerso nei suoi pensieri e nei suoi tormenti. La scena finale non potrebbe essere più eloquente: perdere la vita per una pura questione di umana pietà verso una convivente che non ama più e di cui teme un gesto estremo. Un finale tragico che conclude la parabola di una vita difficile e avara di ricompense.

A bientôt cher Alain!

 

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