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THE GET DOWN - Lo zen e le arti dell'Hip Hop
di Andrea Fornasiero ultimo aggiornamento
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In The Get Down la storia del Bronx si trasfigura in mito, una favola narrata vent'anni dopo dal protagonista che canta in rima della propria gioventù, dove la cultura della strada è popolata di variopinte figure e di maestri. Su tutti Grandmaster Flash, che conosce il Tempo, custodisce le regole e i segreti, insegna per enigmi come il sifu di un film wuxiapian, ed è sia giudice morale sia sacerdote. Il suo hip hop (che per ora nella serie nessuno chiama così) è trascendente ed esoterico come il kung-fu. Non a caso il suo allievo prediletto è Shaolin Fantastic, che per i quattro ragazzi protagonisti, è a sua volta una figura mitica, un writer leggendario e sfuggente, in eterno e inarrestabile movimento sulle sue agili puma rosse.

Shao 007 è praticamente un supereroe, e in linea con questa prospettiva mitopoietica i quattro ragazzi, una volta unitisi a lui, assumo il nome di Fantastic Four Plus One. Questa mitologia tutta americana viene a sua volta assimilata dalla serie, per esempio quando Zeke affronta il pubblico per la prima volta dice che gli è stato rivelato il suo superpotere e più avanti, nel tentare di spiegarsi a vicenda l'importanza di essere un gruppo compatto, uno dei giovani cita gli X-Men dove il nome è al plurale perché la squadra conta più dei singoli X-Man.

Tutto viene trasfigurato dall'energia creativa dell'hip-hop, assume una connotazione leggendaria, e la narrazione in rima di Zeke (i suoi testi sono scritti da NAS) si innesta perfettamente nello stile scoppiettante di Baz Luhrmann, che del resto aveva già raccontato storie di strada con un linguaggio ritmato e aulico in Romeo + Giulietta. Qui però l'operazione è meno freddamente postmoderna e restituisce l'aura di straordinaria innovazione di quel periodo. Da una parte i writers ridavano letteralmente la parola alla strada, dall'altra i rapper la raccontavano e i DJ si riappropriavano del business musicale scomponendo i dischi in pure ripetizioni di ritmo. Tutte queste tre arti sono affrontate nella serie attraverso: Dizee, Zeke detto anche Book e Shaolin Fantastic. Ci sarebbe poi la break dance, ma sebbene sia praticata da vari personaggi, nessuno si cura di parlarne.

In compenso c'è lo show biz ufficiale, rappresentato dalla disco music, in cui cerca di sfondare Mylene, che deve però liberarsi del giogo oppressivo e religioso di suo padre. Se tutto quel che emerge dalla strada sembra fiorire spontaneamente, al contrario Mylene affronta una sorta di calvario prima di riuscire finalmente a incidere un disco, di cui a sua volta la strada si riappropria facendolo metaforicamente a pezzi. Il soul di Mylene vuole fondere il divertimento all'elevazione spirituale, ma la ragazza, di cui Zeke è perdutamente innamorato, sogna le sfavillanti luci di Manhattan.

Nel racconto dello Zeke degli anni 90, traspare del resto il senso di malinconia per qualcosa di perduto e la serie presenta più o meno fin dall'inizio l'impossibilità per Zeke di coniugare i due poli della sua vita: da una parte Mylene, che potrebbe seguire a Manhattan se cavalcasse le sirene della politica ed entrasse nel mondo dell'Uomo Bianco, e dall'altra Shaolin Fantastic e la cultura della strada, che però rischia di sprofondarlo nella violenza della criminalità. Gli altri tre ragazzi protagonisti della serie, sono i fratelli di Yolanda (una delle due amiche del cuore nonché coriste di Mylene), ma hanno fin qui una posizione molto defilata, con l'eccezione di Dizee, il più visionario e artisticamente dotato, che frequenta il mondo clandestino dei writers, esplora la propria sessualità e si cala gli acidi – infatti è spesso accompagnato dal brano lisergico Vitamin C dei Can.

Il personaggio interpretato da Jaden Smith è forse poco integrato al cuore della vicenda, ma gli viene dedicato anche poco spazio. I problemi arrivano invece con il mondo degli adulti: decisamente più risaputo e privo della scintilla prometeica di sono invece dotati i ragazzi. Difetti comunque secondari perché The Get Down – nonostante abbia come coautore un drammaturgo vincitore del Pulitzer quale Stephen Adly Guirgis – non è una serie che punta sull'equilibrio narrativo, anzi se ne fa beffe e cerca di travolgere tutto con il ritmo forsennato del montaggio e della regia imposti da Baz Luhrmann che nel primo episodio, lungo come un film, giustappone anche fiction e materiale dell'epoca secondo analogie a volte puramente estetiche. Ovviamente, come già in Vinyl, le puntate successive non possono tenere il tempo del pilot griffato, ma ci si avvicinano ragionevolmente, in particolare quelle del camaleontico Ed Bianchi, regista di tre episodi su sei, e di Michael Dinner, mentre è meno efficace il terzo episodio, firmato da Andrew Bernstein.

Sebbene sia stata resa disponibile su Netflix solo metà della prima stagione, lasciando quindi sospeso il rapporto tra il malinconico Zeke futuro e quello più ottimista degli anni 70, questa prima tranche porta a compimento già diversi archi narrativi, introduce molti personaggi – tra cui alcuni realmente esistiti come Grandmaster Flash e Kool Herc – e prepara il tavolo per la più complessa seconda fase, che però deve ancora prendere davvero il via. Nell'attesa del 2017, ci rimangono da rivedere varie sequenze da antologia: l'inseguimento di Shaolin Fantastic nel primo episodio, lo spiritual che diventa un'esibizione da disco queen di Mylene alla fine del secondo, il montaggio alternato tra il rap di Zeke e il brano Set me Free di Mylene nel quinto episodio e ovviamente la sfida finale del sesto. Un bottino notevole, che fanno di questa mezza stagione un bicchiere assolutamente mezzo pieno.


Qui i precedenti articoli della rubrica CoseSerie.

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