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I bambini li guardano: La grande corsa
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I bambini li guardano è una rubrica settimanale di Cinerepublic in cui gli autori raccontano, in forma di cronaca dal salotto di casa, la visione di un film per grandi ad altri genitori audaci desiderosi di allargare gli orizzonti cinematografici dei propri figli.

 

La grande corsa (1965)

di Blake Edwards
con Jack Lemmon, Tony Curtis, Natalie Wood, Peter Falk
Genere: Commedia 

 

Visto con Alessandro, 10 anni, e (in parte) con Federico, 4 anni e mezzo.

 

La scelta ha rappresentato la maggior difficoltà. Considerando che Alessandro va spesso al cinema, vede molti film in televisione, è appassionato di macchine d’epoca, mentre Federico predilige i cartoni animati, ho cercato un’opera a colori, dalla trama semplice e comprensibile, divertente, privo di volgarità, di autore importante, che contenesse, nei limiti del possibile, momenti assimilabili a noti cartoon. Il maggior problema era costituito dalla lunghezza della pellicola. Sapevo di rischiare, ma ho provato.

 

Il film parla dell’antagonismo tra due personaggi audaci, pieni d’inventiva, che, nell’ambito di spettacoli all’aperto, compiono prodezze tali da richiamare un ampio pubblico. Uno è “il Grande” Leslie (Tony Curtis): bello, aitante, abile e raffinato, impeccabilmente vestito di bianco, assieme al suo aiutante Ezechiele (Keenan Wynn) a rappresentare l’eroe “buono”. L’altro, il Professor Fate (Jack Lemmon), ricco di trovate ingegnose, sempre imbronciato e scorbutico, ma con una tipica risatina chioccia nei pochi momenti in cui si sente soddisfatto, inesorabilmente condannato al disastro, in coppia con il suo aiutante Carmelo (Peter Falk). Sono i “cattivi” e come tali vestiti completamente di nero. Odiano la popolarità di cui gode il Grande Leslie e fanno di tutto, con effetti disastrosi per loro, per ostacolarne le imprese. Sono tutte figure caricaturali che, solo a vederle, muovono al riso.


Al fine di promuovere una prova definitiva per stabilire chi dei due è il migliore, Leslie propone la costruzione di un’auto speciale e di sfidare l’avversario in una corsa New York, via Alaska, Parigi. Su pressioni astute e risolutive della giornalista Maggie Dubois (una splendida Natalie Wood), il giornale New York Sentinel è costretto a finanziare la corsa.


Durante il percorso ne succedono di tutti i colori, come solo Edwards ed i protagonisti citati sono capaci di fare. Il ritmo è veloce, le gag sono innumerevoli, i dialoghi sono divertenti, le situazioni pericolose risultano ridicolizzate dai maldestri tentativi di Fate e Carmelo di ostacolare gli avversari. Il tutto rende la visione, nonostante la lunghezza, piacevole e scorrevole.

 

Alessandro è stato subito interessato, non ha perso una battuta. Ogni volta che vedeva Carmelo e Fate, scoppiava a ridere, allungando la mano come per sottolineare le scene che si susseguivano. Era affascinato dall’auto di Leslie, ma soprattutto da quella di Fate (la Hannibal 8): “mi piacerebbe avere un’auto che si solleva ed è provvista di un cannone”.

Federico, che all’inizio si era allontanato per mettersi a dipingere, forse sentendo ridere il fratello è venuto più volte a vedere il film e, specie “alla battaglia delle torte”, se la godeva di gusto.

La risata, improvvisa, di gola, emessa da un bambino è il più bel rumore che esista.

Ho chiesto ad Alessandro se si era divertito ed in quali momenti. Mi ha risposto che il film gli era piaciuto tutto, citando in particolare le malefatte di Fate e Carmelo, il viaggio delle auto sul piccolo iceberg alla deriva, il duello ed il lancio di torte all’incoronazione del Re dei Carpazi. Dei personaggi non faceva altro che parlare di Carmelo e di Fate.

Con un pizzico di malignità gli ho chiesto: “hai visto che il grande Leslie si è fermato sulla soglia del traguardo per dimostrare alla bella giornalista che preferiva il suo amore alla vittoria ? Tu cosa avresti fatto ?”.

Ha atteso diversi secondi, concentrato, ed ha risposto: “Io avrei tagliato il traguardo e, dopo, avrei ricominciato a corteggiare (sic!) la giornalista”. Questa volta il perplesso sono rimasto io. Ho cercato di togliermi di dosso 65 anni e di provare a ragionare come se ne avessi 10 e... confesso che avrei fatto come dice lui.

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 Due parole sull'autore della settimana: dedo

 

All’età del mio abiatico vivevo in una nazione stremata dalla guerra. Non era tempo di cinema. Nel dopoguerra ho cominciato a frequentare la sala cinematografica dell’Oratorio, dove mi sono fatto una cultura di Western o di vecchi film di produzione nostrana. Nessuno mi ha indirizzato verso un genere od un altro. Crescendo ho cominciato a frequentare anche altri ambienti di proiezione ed a differenziare i generi. Mi piacevano tutti ed ho avuto la fortuna di avere un compagno di classe con tesserina di ingresso gratuito per due.

D’estate vedevo tutta la produzione di una sala all’aperto arrampicandomi sul muro di cinta. Dopo mi sono ritrovato drogato dal cinema, non ne ho più potuto fare a meno. Ma non sono un intenditore con una cultura letteraria cinefila alle spalle. Normalmente guardo un film ed uscendo decido se mi è piaciuto o no. Non mi pongo troppi quesiti in testa. Diciamo che apprezzo sempre un film di qualità, indipendentemente dal regista e dagli attori, sopporto male quelli eccessivamente rivolti ad una stretta cerchia di competenti, fatti da (pseudo)intellettuali per (pseudo)intenditori e, soprattutto, non guardo film volgari, con doppi sensi sudici ed oltraggiosi per una normale intelligenza.

Come genitore ho favorito le mie figlie a valutare i film con occhi critici, senza subire condizionamenti esterni di qualsiasi tipo: uno deve ragionare con la propria testa. So che l’insegnamento ha fatto presa e tanto mi basta. Con i nipoti il problema è più difficile, perché abitiamo in città vicine, ma diverse e li vedo non troppo spesso. Ma sia la madre che la zia (l’altra figlia) stanno trasmettendo quanto hanno appreso da me.

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