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La ragazza che sapeva troppo

Regia di Mario Bava vedi scheda film

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La recensione su La ragazza che sapeva troppo

di Antisistema
7 stelle

Le ascendenze del cinema di Alfred Hitchocok sono riscontrabili nell'opera di Mario Bava sin dal titolo La ragazza che sapeva troppo (1962), anche se il regista avrebbe voluto il titolo Incubo, sicuramente più evocativo ed interessante, data anche la zampata finale che probabilmente nelle prime versioni della sceneggiatura o della genesi dello sviluppo del film, quasi sicuramente virava il tutto su territori più esplicitamente onirici. Debitore come già detto a livello narrativo del cinema del regista inglese, non lo è del tutto a livello di messa in scena e di regia, dove Bava riesce ad immettere il suo stile in una storia tutto sommato convenzionale, anche se purtroppo fu un flop ai botteghini alla sua uscita venendo sostanzialmente ignorato sino agli anizi degli anni 70', quando verrà riscoperto e riconosciuto tra i capostipiti del giallo all'italiana, presentando tutta una serie di stilemi ripresi dai thriller-gialli successivi, a cominciare da Dario Argento con il suo Uccello dalle piume di cristallo (1970), debitore dello stile Baviano, anche se ripreso e sviluppato in modo ancor più esasperato. 

Mario Bava era un pioniere del cinema Italiano, costretto a lavorare con budget bassissimi, non rinunciava però ad innestare nella produzione nostrana, dei generi anglosassoni totalmente estranei ad essa come l'horror ed il thriller-giallo, che fino a quel momento non avevano mai trovato terreno fertile e che invece dalla fine degli anni 60', troveranno largo sviluppo nella copiosa produzione di genere nostrana, con opere sempre più efferate e basate sullo shock visivo, venendo accolte molto male dalla critica a fronte del successo di pubblico nostrano ed internazionale, per poi essere eccessivamente rivalutate dagli anni 90' in poi quando in realtà è bene dirlo che sono poche le opere notevoli e ancor meno gli autori, perciò si faccia bene attenzione a non buttare nel mucchio della rivalutazione gente a caso come Segio Martino, Luigi Cozzi o Bruno Mattei insieme ad un Lucio Fulci o Mario Bava in questo caso, perchè il livello è differente non poco. 

 

 

Ritornando alla pellicola di Bava, più che sul lato narrativo abbastanza classico nello sviluppo, risulta più interessante concentrarsi sull'uso del bianco e nero del regista, con squarci di luci "innaturali" di chiaro stampo gotico valorizzate dalla scenografia architettonica della Roma barocca, che danno più la sensazione di un'atmosfera orrorifica-allucinata, che di una opprimente cupezza delle grandi metropoli anglosassoni. L'americana Nora Davis (Leticia Roman), è giunta nella città eterna per badare ad un'anziana signora molto ammalata, la quale improvvisamente muove, gettando nel terrore la giovane ragazza, che cerca aiuto scendendo le scale di Trinità dei Monti, dove viene derubata subendo un colpo alla testa e poi scombussolata assiste ad un omicidio, venendo poi non creduta dalla polizia.
Hitchockiano è lo spunto casuale di partenza, così come una persona comune alle prese con le indagini per giungere alla verità con una polizia sostanzialmente ininfluente se non totalmente inutile ai fini della risoluzione del caso, nonchè la classica spalla qua impersonata dal dottor Bassi (John Saxon) e personaggi enigmatici come l'amica della defunta anziana, la signora Laura Craven Torrani (Valentina Cortese). Le atmosfere gotiche s'intrecciano con quelle del thriller mescolate poi alla commedia, che sovente fa capolineo durante il corso della narrazione, non tutto è bilanciato bene anche per via due protagonisti non proprio dei più adatti (Bava non ama moltissimo questo film e ha sempre sostenuto che con uno Stewart e una Novak al posti di quei due, il film forse avrebbe retto molto meglio), che fanno arenare il film con delle pause di troppo giungendo ad una risoluzione finale un troppo farraginosa nella spiegazione, però grazie a Bava alla regia si ricordano le prime sequenze a Roma, la scena nella nella casa di Andrea Landini con la lampadine volteggianti ed un finale che piazza una zampata degna di un genio, andando contro la razionalità tipica delle opere di Hitchcock, che alla fine ha sempre ricondotto il tutto ad una risoluzione terrena e reale, mentre Bava evidentemente venendo dall'horror gotico e dal fantastico, evidentemente se avesse avuto carta bianca, avrebbe sviluppato appieno l'incipit ed il dubbio finale della protagonista. In sostanza un buon film che deve la sua forza alle intuizione di messa in scena di Mario Bava, oltre che alla brava Valentina Cortese, risultando imperdibile per gli amanti del genere e per chi volesse scoprire gli antenati del giallo all'italiana.

 

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