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Sinfonia d'autunno

Regia di Ingmar Bergman vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Sinfonia d'autunno

di Baliverna
10 stelle

ANTICIPAZIONE DEL FINALE - Secondo me è tra i migliori film di Bergman, subito dopo "Il posto delle fragole". Credo sia migliore di altri, magari più famosi e apprezzati dai critici. Belli sono tutti, ma questo mi ha coinvolto proprio, e l'ho vissuto intensamente.
Il regista svedese mostra il suo consueto stile fatto di rigore ed essenzialità, e pochi movimenti di macchina, senza paura di essere statico o di girare un film noioso. I movimenti dei corpi e negli ambienti sono minimi, ma i cuori sono in tempesta e in forte agitazione.
Essenzialmente la pellicola mostra un serrato confronto tra madre e figlia, di quelli che si fanno una volta nella vita, e che sono delle preziose occasioni per portare la verità nei rapporti e per guarire le ferite. Questo nonostante il dolore e gli sconquassi che possono comportare.
La madre è una donna che ha impostato la sua vita in funzione del successo professionale come pianista, e ha subordinato tutto il resto a questo fine. I legami familiari e gli affetti ne hanno sofferto molto, e in modo irreparabile. Per sentirsi a posto con la coscienza è vissuta al di fuori di se stessa, si è costruita un mondo fittizio e una morale autoassolutoria. Ha negato il male, ha minimizzato i problemi, ha ammantato di motivi buoni ciò che aveva motivi vili. Più che tutto si è sempre giustificata, o si è sforzata di credere di essere una brava persona. Il confronto con la figlia è doloroso, ma è salutare. La costringe a prendere atto della verità della sua vita e della sua persona, e la verità fa male. Questa forte purga più un po' di umiltà, e la sua vita potrebbe cambiare direzione, come pure i suoi rapporti aridi e finti con la figlia. Ma, prima di compiere questo passo liberatorio, sceglie di tornare nella menzogna, nella finzione, nell'egoismo.
La figlia, dal canto suo, è una donna che ha sofferto enormemente per la quasi assenza della madre, e per il suo stare a distanza, in un'affabilità superficiale e senza amore. Come risultato non è mai riuscita ad amare, neppure suo marito, con il quale pure sta molto bene. Verso la madre, dopo aver rinunciato alla speranza di essere amata, ora cova rancore e forse odio, nascosti come la brace sotto la cenere. Lei infatti è almeno in parte responsabile del nuovo ritirarsi della madre nella sua consueta distanza e menzogna, perché le nega il perdono quando quella, in un istante di verità, glielo chiede. A vincere è l'incomunicabilità e la solitudine, mentre ognuno resta nel guscio che si è costruito.
A differenza di molti film di Bergman, qui l'uomo non è egoista e incapace di amare; stranamente è un marito amorevole e disposto ad accontentarsi dell'amicizia della moglie, per aiutarla e per il piacere di starle vicino. Il gelo qui è tra madre e figlia. Compare poi il personaggio della malata (la sorella?), costretta a letto in preda a sofferenze poco specificate, come ad es. in "Sussurri e grida".
Questo film è un viaggio impegnativo e coinvolgente, sorretto da due brave attrici, una bergmaniana DOC (Liv Ullmann), l'altra Bergman di nome, la quale ci dà una delle interpretazioni più intense della sua carriera. I personaggi sono definiti e sezionati col bisturi del regista, mentre allo spettatore resta il compito di esplorarli per conto suo. E' un film fatto di dialoghi, di primi piani, girato in interni. Astengansi coloro che si aspettano qualcos'altro.

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