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La ballata di Gregorio Cortez

Regia di Robert M. Young vedi scheda film

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La recensione su La ballata di Gregorio Cortez

di millertropico
8 stelle

Robert M. Young è stato un nome di punta nel panorama da noi poco conosciuto nel suo insieme,  del cinema americano davvero indipendente (imparammo ad apprezzarlo, se ben ricordate, grazie a "Alambrista" che ce ne rivelò il talento, dolente ballata sugli stagionalisti clandestini che dal Messico sforano al nord, verso l'"accogliente" (si fa per dire) America degli Stati Uniti, per un misero lavoro di braccianti). Con questo Gregorio Cortez, personaggio entrato nella leggenda della cultura chicana, il regista prosegue magnificamente la sua strada di filmaker impegnato e militante, e riaccende per questo i riflettori su un conflitto etnico ancora insoluto in quell'indefinita frontiera tra il Messico del sottosviluppo e l'arrogante violenza texana, scandito sui ritmi epici di un "corrido" che risale agli inizi del secolo scorso. Gregorio Cortez è infatti un giovane vaquero messicano che si trova coinvolto in un'equivoca storia di sangue in una contea del Texas (in una improvvisa sparatoria trova la morte uno sceriffo, simbolo della legge americana ed è proprio a Cortez che viene addossata la responsabilità di quel delitto). L'uomo, sospettato e inseguito, riuscirà per giorni ad eludere quella spietata caccia scatenata dai Rangers e dai molti solertissimi volontari aggregatisi al seguito. A piedi o a cavallo, questo eroe solitario fuggirà così per miglia e miglia verso il suo Messico, ispirando con le sue gesta, canti e leggende, finchè un'appetibile taglia non metterà fine al suo indomito viaggio verso la libertà e  lo consegnerà alla spietata giustizia texana.
Il suo processo diventerà però un evento pubblico, diviso tra colpevoli inferociti e muti sostenitori della sua innocenza, anche se la condanna sarà inevitabile. Solo dopo innumerevoli appelli, nel 1913, Cortez verrà però alla fine graziato dando così nuova linfa alla leggenda ("Oh, tanti Rangers a cavallo per prendere un solo messicano!" cantavano le ballate di forntiera). Senza forzare i toni di di un'acuta ma accurata oggettività che lo mantiene fedele alla documentazione dei fatti ambientati in un'epoca in fase di evidente trasformazione, il regista nel raccontare questa storia non rinuncia però alla partecipazione emotiva  (che coinvolge anche lo spettatore) verso le disavventure di un uomo che diventa il simbolo di una minoranza etnica particolarmente avvilita (ieri come oggi), nella costruzione sfrenata degli States e del loro "benessere" stanziale. Un western crepuscolare insomma moderno e toccante,  con l'attore e cantante popolare Edward James Olmos che presta il suo volto da "peone" all'eroe eponimo della storia.
 

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