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The Bride

Regia di Paula Ortiz vedi scheda film

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La recensione su The Bride

di OGM
7 stelle

Amore e morte. Un tema antico. Sempre potente, mai futile, eternamente misterioso.

Bodas de sangre. Federico Garcia Lorca tinge di rosso il vestito della sposa. Vuole che prenda il colore a cui aspira la Luna, per liberarsi dal pallore, per scaldarsi il cuore. Vuole che la sua trasparenza di cristallo si condensi in una lama di pugnale, da affondare in un petto per trovarvi calore. Il suo poema teatrale segue il ritmo lento e tenace della Morte che incalza, che cerca e sempre trova, che colpisce e che rimane a tempestare il ricordo di oscure metafore del dolore. è il nefasto destino che è impresso nella carne, il seme nero che segue il filo delle generazioni, riproducendo la cadenza della sua marcia funebre, secondo il metro di un lirica dal passo pesante. Il tempo si trascina, come il piede stanco di una vecchia e cenciosa mendica, l’ossessione che continua ad insidiare l’allegria di un giorno di festa, di un ballo nuziale. Il testo dell’opera originale è un girotondo che stordisce, ruotando intorno all’insistente, inevitabile circolarità del sino, della sorte che si eredita, che è scritta nel corpo, ed aspetta il momento fatale in cui chiudere il cerchio. Il film di Paula Ortiz traduce questa vertigine in un carosello di immagini che alternano la limpida durezza della narrazione classica al dinamismo psichedelico dell’espressionismo, tracciato dai vortici che graffiano l’aria con le loro spirali di paura, e trascinato da una forza centrifuga che segue l’esplosione della follia. Il turbinio della passione sconvolge il quadro rigido della tradizione rurale dei matrimoni combinati e delle faide familiari, per sciogliere le briglie al vento ed inventarsi un linguaggio nuovo, in cui l’allegoria è un incubo tanto ribelle quanto indecifrabile. Le canzoni nuziali si ripetono come presagi di rottura: quella sposa che si appresta a cambiare vita, ad uscire dalla casa al tramonto per scoprirsi nuova all’alba, e la cui fisicità si fonde romanticamente con gli elementi naturali, è una figura destinata al trapasso, alla perdita della sua verginale integrità, alla dissoluzione nel caos di un universo lussureggiante e vorace. Il cosmo che la fagociterà è un cavallo che ha fame d’aria e sete d’acqua, che corre all’impazzata e si spezza gli zoccoli, che fugge nel peccato ed attraversa territori proibiti. La sua potenza è una forza silvestre, umida e oscura,  ben diversa dalle marmoree presenze dei muri bianchi delle case scavate nella roccia, della luce di un fuoco che inonda la scena, del riverbero chiaro delle terre sabbiose, dei riflessi glaciali dei cocci di vetro.  L’afrore della perdizione è un’energia sinistra che nasconde la salvezza, poiché la sua essenza è anche la pioggia che bagna la faccia dei morti. È il fiume nero che travolge e riscatta una donna bruciata. È il refrigerio segreto in una regione arroventata che consuma, che fa seccare le piante ed asciuga le  lacrime, perpetuando il rancore. In questa storia l’abisso sognante è la sostanza molle del desiderio, cedevole e informe, che oppone la sua dolce vulnerabilità al profilo aguzzo di un crudele disegno divino. E che si lascia inseguire, dalla maledizione e dalla tentazione, lungo il crescendo delle rime, dei ritornelli, dei simboli ricorrenti, che avvolgono l’anima nell’ombrosa fantasmagoria di un paludoso incanto. 

 

Álex García

The Bride (2015): Álex García

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