Regia di Evgeny Afineevsky vedi scheda film
Esiste una consistente filmografia relativa a Maidan, alla rivolta in nome dell’Europa di una parte del popolo ucraino contro il governo filorusso (e al conseguente effetto domino in forma di cruenta guerra civile, vedi alla voce Crimea). Una filmografia che fatica ad allargare lo sguardo d’indagine, a uscire dalla piazza, come (a fingersi) costretta al qui e ora del cinema: da Maidan di Sergei Loznitsa, che resta uno strepitoso studio sulla coreografia di una rivoluzione, all’impeto esotico di denuncia di Maidan Massacre di John Beck Hoffmann, passando per l’agit prop del collettivo Babylon’13, Stronger than Arms, e la prospettiva al femminile di The Female Faces of Revolution di 1+1. Questo Winter on Fire - produzione Netflix (a Venezia 2015 in double bill con Beasts of No Nation) - è un monumento ai caduti in via Institutska, un’apologia dei manifestanti, un film di propaganda: nei 93 giorni di riprese l’occhio dei 28 cameramen di Afineevsky non registrano materiale contraddittorio, accenno di dubbio, enigma del conflitto. E il film si riduce a un canto epico basato su strumenti retorici bassi e alto professionismo. Ovvero: presa spettacolare, sdegno garantito. Di cinema come questo, oggi, non ce ne facciamo niente: perché non interroga il reale, ma lo umilia al proprio discorso. E non combatte l’informazione superficiale e l’opinionismo di pancia che governano il presente: aggiunge solo enfasi.
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