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Occhei, occhei

Regia di Claudia Florio vedi scheda film

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La recensione su Occhei, occhei

di mm40
2 stelle

Due ragazze romane, deluse e abusate dagli uomini, decidono di partire da sole in cerca di avventura. Dietro l’angolo però ci sono solo sorprese negative.

Occhèi occhèi sembra la classica commediola nostrana anni ’80 destinata a incensare il culto dell’immagine, dello sperpero e dell’egocentrismo tanto in voga all’epoca; invece, fors’anche involontariamente, finisce per essere una pellicola fortemente critica nei confronti di quegli anni dissennati. Anni nei quali tutto ciò che era americano era giusto e quindi da replicare a ogni costo, anni nei quali la liberazione femminile regrediva di millenni adeguandosi a standard edonistici nel segno del tutto e subito, sessualità ovviamente inclusa. Anni in cui, sia detto per inciso, il cinema italiano entrava in una crisi apparentemente irreversibile che sarebbe durata quantomeno fino ai giorni nostri: e in Occhèi occhèi la crisi si può percepire perfettamente. Perché mancano le idee, mancano gli attori, mancano le riflessioni di fondo; mancano le psicologie dei personaggi e mancano pure i mezzi, trattandosi di un filmetto a basso budget; la storia è piuttosto pretestuosa e la sceneggiatura di Gianni Galassi e di Claudia Florio (anche regista, esordiente) non gode della sufficiente stabilità per accattivare lo spettatore, mentre fra i nomi del cast troviamo qualche cameo interessante (Ninetto Davoli, Remo Remotti) e ruoli marginali per volti successivamente noti come quelli di Giuseppe Cederna, Andrea Occhipinti e Giorgia Trasselli (anch’essa al debutto), mentre i ruoli centrali sono affidati ai semianonimi Paula Molina, Giulia Salvatori e Walter Ricciardi. Fotografia di Armando Nannuzzi, montaggio di Nino Baragli, musiche originali (di Gaetano Liguori) in pieno stile punk demenziale dei tempi: ma i contenuti non valgono l’apprezzabile confezione. La Florio aveva cominciato come assistente di Marco Tullio Giordana e proseguirà principalmente come sceneggiatrice, trovando modo di dirigere la sua opera seconda solamente oltre tre lustri dopo con il più ambizioso Il gioco (1999). 2,5/10.

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