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Corpi

Regia di Malgorzata Szumowska vedi scheda film

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La recensione su Corpi

di OGM
7 stelle

Siamo costretti a esistere. E ad aver paura sia della vita, sia del suo misterioso contrario.

Sinfonia delle parti. Le membra del corpo creano unità. Se solo andassero d’accordo. Se solo l’io bastasse a tenerle insieme. Invece, quello che siamo non fa che accanirsi contro di esse: le separa, le umilia, le fraintende. Le prende per nemiche, le considera altro da sé: una minaccia aliena, disprezzata in vita, adorata dopo la morte. Come si fa con gli dei cattivi, venerabili unicamente se li sappiamo in cielo, staccati dalla terra del nostro dolore. Cercare un contatto amichevole è inutile: la nostra materia non viene da noi in pace.  Ci visita con la pesantezza delle cose che non se ne vanno, che insistono per avere su di sé tutta l’attenzione. Janusz ha una figlia che non vuole mangiare. Persegue la magrezza, per reagire alla grassezza del padre, alla sua fisicità che impera e fiorisce, nonostante la tragica scomparsa della moglie. Olga oppone a quel monumentale macigno di sopravvivenza una disperata fuga nella dimensione eterea dell’inconsistenza, in cui non si è più nessuno, in cui non si ha più una bocca per urlare né lacrime da versare. Il regno dell’anima è la vera salvezza. L’eternità è la sua casa, che possiamo considerare a portata di mano, basta volerlo con tutta la mente. Anna è una psicoterapeuta, una madre che ha perso un bambino in tenera età, una medium. Le tre cose procedono in ugual modo dallo spirito che cerca di trovare un riparo dall’aggressione annientatrice del mondo. Risponde all’annichilimento creandosi un nulla tutto suo, a misura dell’essere, dove l’assenza di tutto è un rassicurante invito a creare in assoluta libertà. Solo nel silenzio possono nascere voci. E solo su una pagina bianca formarsi lettere e colori. Le ragazze in cura sono pallide ed hanno vesti candide. Il loro universo slavato è la tela vuota che tutti ci portiamo dietro, di nascosto, che  tutti cerchiamo segretamente di dipingere, in qualche modo. C’è chi lo fa col sangue innocente, versato nello squallore asettico di un bagno pubblico. C’è chi lo fa raccogliendo scarpe come reliquie. E chi vomitando cibo e pastiglie variopinte.   Le sbavature dell’esistenza sono un’opera d’arte, sono le acque reflue di una pena che entra sotto i vestiti, e inonda la bara della nostra apparenza come un’alluvione riempie le fosse di un cimitero. I nostri cadaveri restano morti, solo più sporchi, o forse, in un certo senso, più puliti, freschi, rigenerati, lambiti dall’odorosa linfa del sottobosco a cui, con la civilizzazione, abbiamo abdicato. Questo film ritrae un azzeramento della realtà che procede oscillante, seguendo il ritmo delle onde sul bagnasciuga, l’andirivieni della logica e del paradosso, dell’orrore e dell’estasi,  della ragione e della follia. Ci lasciamo rapire in maniera stentata e graduale, da questo desiderio di essere altro, di non dover più rispondere di ciò che di noi stessi non conosciamo, non possiamo capire. Si dice che anche i defunti siano incerti e confusi. E che la morte arrivi indossando un bikini. La soglia si attraversa sempre con piede malfermo. Dopo aver esitato a lungo, e continuando, anche al di là, a non sapere che fare. 

 

Justyna Suwala, Maja Ostaszewska

Corpi (2015): Justyna Suwala, Maja Ostaszewska

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