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James White

Regia di Josh Mond vedi scheda film

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alan smithee

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La recensione su James White

di alan smithee
6 stelle

68° FESTIVAL DI LOCARNO - CONCORSO

Con JAMES WHITE ci tuffiamo all'interno del cinema indipendente americano tutto cliché e tic isterici metropolitani da nevrosi ed irrealizzazione, per affrontare una storia di sopravvivenza e soprattutto di morte che affligge un ventenne un po' sciroccato ed inquieto, alle prese con una vita da tempo allo sbando, e i gravi problemi di salute che affliggono entrambi i genitori.

Alla morte del padre, la madre organizza un lungo e ridondante funerale in cui la cerimonia, sontuosa e impegnativa, finisce per logorare il già fragile equilibrio che tra i due, lei gallerista tutta contatti e buona società, lui disoccupato in cerca di una diritta via in cui indirizzarsi dopo troppo tempo speso a vivere in modo inconcludente. Quando anche la madre torna ad essere colpita dagli effetti di un brutto male diagnosticato tempo addietro e ora nuovamente risvegliatosi, gli incubi di una disgregazione totale diventano la cruda realtà in cui districarsi, tra ospedali rigidi oberati di pazienti e una distanza caratteriale tra madre e figlio che sembra stia per dividerli ancora più che la morte ormai inesorabilmente imminente.

Regia nervosa che si fissa imperterrita sul volto e gli occhi neri di un Christopher Abbott che sembra un nuovo Marlon Brando più accessibile e meno esclusivo, aggiornato allo sfinimento quotidiano senza uscita, e sul volto devastato dalla sofferenza di Cynthia Nixon, per raccontarci un ritratto realistico, ma anche un po' troppo abbozzato di un'America che si lascia vivere, trascinare tra i fumi di uno sballo e feste sempre più distaccate e fredde, dove l'isolamento e la solitudine riescono ad essere tenute lontane solo da quel che resta di un attaccamento familiare e da vecchie solide amicizie dure a scalfirsi col tempo.

Un po' il tramonto del sogno di gloria americano, guardando con occhi realistici e inebriati dall'euforia resa nervosa da una solitudine di fondo che ormai ci crea un vuoto tutto attorno, celebrato dalla fine irreversibile di un corpo che diviene succube e vittima di una disgregazione non solo fisica, ma anche interiore.

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