Regia di Jonas Alexander Arnby vedi scheda film
Tra Let me right in e Spring, When Animals Dream risulta essere un beast-movie asciutto, nonché un horror minimale e freddo dai richiami depalmiani (Carrie). La bella e la bestia in unica persona, alla scoperta di sé, del proprio corpo, della propria sessualità. Tutto ciò, però, è possibile solo attraverso, metaforicamente parlando, il taglio del cordone ombelicale, ovvero spezzando i legami familiari: prima tramite una scissione materna/matriarcale [la madre, poiché "uguale" a lei, la oscurava a livello personale e individuale, in un certo senso bloccava il potenziale fisico della protagonista]; in seguito, attraverso anche la rottura del rapporto paterno/patriarcale [il padre, invece, la inibiva da un punto di vista sociale e relazionale]. Pertanto, questa trasformazione, anzi, sarebbe più consono definirla "rivelazione", avviene perdendo l'innocenza. Post-Innocence, quindi.
Un film dell'orrore di stampo femmineo, o meglio, di emancipazione femminile. Di ribellione donnesca à la Honeymoon, se si vuole far un parallelismo orrorifico relativo alle trasmutazioni corporee [entrambe le pellicole, tra l'altro, sono esordi alla regia per ciò che concerne il lungometraggio].
Una piacevole sorpresa da premiare anche e soprattutto per il modo algido e distaccato (che strizza l'occhio al Cinema scandinavo, appunto), nonché vincente, di raccontare una storia che, fondamentalmente, non ha nulla di nuovo. Le imperfezioni, per così dire, ci sono; ma, paradossalmente, contribuiscono anch'esse a rendere pura e sensibile, gloriosamente indifesa ed incontaminata, la suddetta opera.
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