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La storia di una monaca

Regia di Fred Zinnemann vedi scheda film

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La recensione su La storia di una monaca

di Antisistema
9 stelle

"L'incessante ed estenuante percorso verso una perfezione tanto anelata quanto impossibile da raggiungere"

Non vorrei dire sciocchezze anti-accademiche visto che sono il primo sostenitore del libero pensiero critico contro ogni schematismo proprio della critica e delle scuole che vogliono inculcare il sapere in forme fisse, però credo che Fred Zinnemann sia un regista al giorno d'oggi, se non dimenticato, alquanto sottovalutato per via di una scarsa considerazione da parte dei critici francesi dell'epoca che evidentemente erano troppo presi ad esaltare i film palesemente minori dei loro registi preferiti a sfavore di veri e propri capolavori (anche se non assoluti magari) come questo. Non ho visto molti suoi film (solo cinque se non erro), però quei pochi visti sono riusciti a comunicarmi molto e anche questo Storia di una Monaca non fà eccezione, tanto da essere addirittura un capolavoro (insieme a Mezzogiorno di Fuoco) e forse l'apice della carriera del regista.
Sostanzialmente Zinnemann ci parla della vita monastica di questa giovane ragazza Belga di nome Gabrielle, che lascia la famiglia e ragazzo per farsi suora, spinta da un sincero quanto sentito altruismo verso le vite altrui visti anche i suoi trascorsi di studi infermieristici con tutte le difficoltà della vita del convento e le tentazioni che possono allontanarla dalla grazia di Dio.

Nonostante sia un film a sfondo religioso, Zinnemann getta uno sguardo laico sulla vicenda (ma non anti-cattolico) e porta alle estreme conseguenze la sua poetica sulla coscienza attanagliata dai dubbi (credo che sia questa la tematica comune ai suoi film) e dalle incertezze. Questa volta però l'attacco non è solo esterno (società, persone che tentano di influenzarla, situazioni vissute etc...), ma anche immanente (interno al soggetto), poichè suora Luke si chiede sempre costantemente se è (o sarà mai) una perfetta suora. Ella mira alla perfezione, ma questa perfezione è probabilmente raggiungibile (sempre che lo sia) solo nella vecchiaia e sopratutto tra le mura isolate nel convento. Quando sei inserito nel mondo, la rigidità delle regole viene meno poichè la situazione concreta impone delle scelte dolorose da fare. Se suona la campana dovresti interrompere ogni tua azione, ma sarebbe giusto lasciare a metà un discorso decisivo con un malato mentre gli stai dando conforto? A che pro raggiungere una perfezione spirituale interiore ed esteriore, se poi la coltivi solamente nel privato e non ne fai dono agli altri? Non è un concetto tremendamente egoistico? A che scopo conseguire dei miglioramenti continui e non poter dare tutto sé stessi al prossimo? Illuminate la definizione di "suora laica" che il Dottor Fortunati darà a suor Luke. Apparentemente è un forte ossimoro, come puoi coniugare la vita consacrata interamente a Dio con il lavoro in un ospedale civile? Eppure è una definizione che ci sta tutta, visto che le suore missionarie per il regista sono quelle effettivamente meritevoli di lode e rispetto; poichè spinte dalla propria fede interiore, arrivano ad aiutare il prossimo molto più sia delle suore da convento (prese da una ricerca di perfezione fine a sé stessa) e forse anche dei laici (che non essendo consacrati ad uno scopo, anche se eseguono bene il proprio lavoro, lo fanno per scambio di utilità economiche).
Questa visione del regista è altamente condivisibile, perché queste suore pretendono di raggiungere Dio tramite la perfezione; ma come sappiamo solo Dio è l'essere perfetto, mentre costoro essendo esseri umani, decidono di combattere una battaglia già persa in partenza (a mio parere).


Zinnemann gira un film privo di schematismi facili, didascalismi e di monologhi interiori, cercando un forte realismo (girato nei luoghi reali, compreso il Congo). Uno stile asciutto ed austero, ma per niente sciatto grazie ad una fotografia che fonde alla perfezione l'aspetto documentaristico con personali tocchi di colore freddi tipici dell'atmosfera spartana dei conventi. Poco trucco scenico e volti sfibrati e sudati nel Congo, contribuiscono al realismo della messa in scena.
I primi piani sono abbondanti, atti a mettere in scena nel modo più intimo il dramma esistenziale di questa suora, la quale è totalmente estraniata dagli altri, comunicandoci così che seppur sia capace di ascoltare le pene altrui, nessuno può confortarla e ascoltare i suoi tormenti dubbiosi. La genialità del regista si vede anche però nella sequenza iniziale del film, dove tramite la mdp focalizza l'attenzione dello spettatore attento, sul tema del conflitto presente nel film. Zinnemann inquadra la protagonista sul ponte (quindi elementi solidi e statici = simboli di voler essere una regola vivente perfetta) e con quella successiva inquadra il riflesso di ella e del ponte nell'acqua, che essendo elemento non solido, ne dà un riflesso mosso e quindi rappresenta il continuo fluire dinamico della coscienza. La staticità del corpo che traspare all'esterno capace di ingannare chi osserva all'esterno in contrasto con il dinamismo immanente della coscienza, la quale innanzi a Dio è nuda, poichè potremo ingannare tutto e tutti (anche noi stessi), ma non Dio.


Per quanto concerne la recitazione siamo su livelli altissimi. Inizialmente doveva essere Ingrid Bergman la protagonista, solo che costei giustamente declinò poichè era troppo vecchia per la parte (aveva 40 anni) e propose allo sceneggiatore il nome di Audrey Hepburn. In effetti la scelta non poteva essere che azzeccata; Audrey Hepburn sino ad allora era un'attrice tragicomica; di certo eccellente, però comunque era vista dagli spettatori dell'epoca (e anche di quelli di oggi purtroppo), come un mero modello di eleganza e di buon gusto, cosa che finiva con il far passare in secondo piano le sue notevoli doti recitative. In questo film non avendo i vestiti di Givenchy e guidata dall'eccellente direzione di Zinnemann, da fondo a tutte le sue doti recitative, sfoderando la sua miglior performance recitativa dopo quella in Due Per la Strada di Stanley Donen (1967) e Gli Occhi della Notte di Terrence Young (1967). Solo la diva-anti diva ad Hollywood poteva portare in scena i complessi dubbi esistenziali di questa suora con una recitazione introspettiva, potendo fare affidamento a nulla se non l'ausilio delle mani (quando il copione richiede di scoprirle) e la mimica facciale. Audrey Hepburn ha una caratteristica che nelle attrici dell'epoca ad Hollywood (ma anche oggi), è difficile se non impossibile a trovarsi; la sua profonda fragilità umana. In ogni suo personaggio vi innesta una vasta gamma di emozioni e sentimenti che contribuiscono a dargli un forte spessore tridimensionale, riuscendo anche a colmare eventuali lacune di scritture alla base di esso. Degna di menzione è anche l'interpretazione di Peter Finch che con il suo umorismo ironico intriso di una forte componente sarcastica anti-religiosa (il suo è un personaggio diegetico che serve a mettere in scena lo scontro fede-ragione/laicità), riesce ad essere un perfetto Dottor Fortunati, personaggio che nel minutaggio limitato a disposizione lascia un segno incisivo.
Nonostante sia una pellicola dimenticata (del 1959 si ricordano film come A Qualcuno Piace Caldo o Intrigo Internazionale) e stranamente scarsamente considerata dai critici nostrani (Mereghetti gli assegna un misero 2.5 e Morandini solo 3 stelline), all'epoca vinse di tutto e di più (Concha de oro miglior film per Zinnemann e Concha de plata miglior attrice per Audrey Hepburn al Festival di San Sebastian, vari BAFTA, NYC, David di Donatello e una miriade di altri premi, spartiti tra Audrey Hepburn e Zinnemann), ad eccezione degli oscar... ovviamente essendo il film troppo bello per vincere, si beccò 8 nomination, ma zero vittorie (era l'anno di Ben-Hur, un kolossal vecchio stile, efficace e solido; ma un tipico film religioso Hollywoodiano, carente della profondità spirituale ed esistenziale del film di Zinnemann). 
Se non l'avete visto,  credo che una visione sia meritevole e magari riuscite a ricavare altre riflessioni da quest'opera, che di sicuro merita ulteriori revisioni per quanto è stratificata. Se può essere di ulteriore incentivo alla visione, per Scorsese è tra i migliori film usciti da Hollywood a sfondo religioso.

Peter Finch, Audrey Hepburn

La storia di una monaca (1959): Peter Finch, Audrey Hepburn

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