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We Are Young. We Are Strong.

Regia di Burhan Qurbani vedi scheda film

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La recensione su We Are Young. We Are Strong.

di fratellicapone
8 stelle

...un episodio di violenza razzista nella ex DDR ... non sembra che le cose siano molto cambiate da allora.

Sicuramente sono giovani ma non sono forti, solo giovani smarriti in un mondo che è cambiato troppo in fretta e senza avere gli strumenti per capirlo e accettarlo.

Siamo a Rostock una città tedesca nella zona della ex DDR tre anni dopo la caduta del muro. Uno squallido paesaggio di degrado urbano di periferia, con casermoni in stile sovietico  e fuori sembra una terra di nessuno.

In uno di questi falansteri, dal pittoresco nome di palazzo delle margherite o dei girasoli (non ricordo) sono alloggiati dei rifugiati vietnamiti e anche dei rom che bivaccano intorno al casermone. Il degrado è totale, auto rovesciate e bruciate, bottiglie dappertutto e un senso di pericolo incombente.

In questa realtà ci sono i nostri giovani e forti. Sono un gruppetto di quattro ragazzi e due ragazze che si ispirano al nazismo e dicono apertamente che quando c’era lui (Hitler) questa invasione di stranieri non sarebbe mai stata tollerata e il problema sarebbe stato risolto immediatamente. Il gruppo non è omogeneo nella sua struttura ma su tutti predomina un giovane più esile e nevrotico che inneggia apertamente al nazismo e alla grande Germania.

Gli stranieri sono odiati e visti come insetti da schiacciare e in una tragica giornata, scansionata nelle varie fasi, monta una violenza sempre maggiore e, nonostante che l’edificio sia stato evacuato dai rom, con l’appoggio della popolazione che partecipa all’assedio e all’attacco del palazzo come ad una festa di paese con birra a volontà e furgone che vende panini, ma i loro sanno che ci sono alcune famiglie di vietnamiti. L’epilogo, in un crescendo di violenza irrazionale, vedrà Stefan uno del gruppo, un ragazzo timido figlio di un inetto politico che avrebbe dovuto gestire la situazione, iniziare l’attacco lanciando la prima bottiglia molotov contro l’edificio. Solo per poco non finisce tutto in una tragedia, i vietnamiti riusciranno a salvarsi.

E’ un film ben fatto con uno stile documentaristico in b/n per tutta la prima parte, quasi a sottolineare nell’essenzialità della scena che non ha nulla di preparato. Nella parte in cui il film/documentario vira verso la violenza è a colori. E’ una realtà in cui la fa da padrona questo odio irrazionale e violento verso gli immigrati confinati in questo enorme palazzone degradato e visti come la causa di tutti i mali della realtà tedesca degli anni post DDR.

In una scena finale una delle ragazze, quella più fragile, dice che all’epoca della DDR anche fare la fila per un’ora per comprare delle fragole non era importante mentre ora, dopo l’unificazione, ognuno è abbandonato a se stesso e alla sua solitudine.

Desolante è la figura del padre di Stefan che mentre la violenza dilaga sta a casa con la musica a tutto volume per non sentire il telefono, lui che era il politico responsabile della situazione. Solo alla fine, in un recupero di dignità, andrà sulla scena della violenza e vedrà suo figlio, il classico bravo ragazzo, scatenato nel lanciare la prima molotov.

Sicuramente la storia risente molto dell’epoca e del disorientamento post comunismo ma, penso, che la storia si ripete se vediamo la realtà attuale.

 

 

(film visto al Goethe Institut di Palermo con sottotitoli)

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