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Soldati 365 all'alba

Regia di Marco Risi vedi scheda film

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Souther78

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La recensione su Soldati 365 all'alba

di Souther78
8 stelle

Eccezionale spaccato di una delle tappe fondamentali di alcune generazioni. Denuncia con intrattenimento e un cast stellare. La sceneggiatura non ha bisogno di strafare per suscitare interesse e divertire. Realistico e misurato, ma (forse proprio per questo) riuscitissimo nella sua critica. Interessante la versione "lunga" che "svela" non poco!

Quelli della mia generazione, o di poco più grandi, non possono non ricordare Soldati 365 all'alba con un misto di preoccupazione e timore, pensando a ciò che li avrebbe aspettati di lì a poco. Una denuncia acuta ma che riesce perfino a coniugare commedia e dramma con un equilibrio insperato. Si va dalla critica verso l'abuso del potere a quella verso il fenomeno del nonnismo, ma anche i disturbi psicologici causati dalla vita militare. Non mancano nemmeno spunti di riflessione più individuali o relazionali.

 

Un Claudio Amendola particolarmente in parte dà vita al soldato Scanna, romano verace di buoni ideali ma dalla testa calda. Il suo antagonista è un Massimo Dapporto eccellente, a partire dal discorso di presentazione e motivazione.

Ligabue, anni fa, descriveva la leva obbligatoria come "perfino un giuramento e un anno di tua proprietà", e quelle note non possono non farsi sentire prepotentemente, rivedendo questo piccolo capolavoro nostrano a tema militaresco. Peccato che la versione ufficiale abbia perduto le scene introduttive di quella "lunga", in cui vedevamo il difficile commiato delle reclute dalle proprie vite. Al primo trauma "da separazione", si sommavano quindi quello dell'incontro/scontro con i superiori e i commilitoni, specie quelli più anziani (i "nonni", appunto). 

Ricordo ancora quella volta in cui, da bambino, alla stazione centrale di Milano vidi scendere molti ragazzi con vari gadget accomunati dal tricolore e dalla dicitura "è finita!". Allora non capii di cosa si trattasse, ma lo intesi all'arrivo della fatidica "cartolina", in concomitanza con il mio diciottesimo compleanno. 

 

Le vicende umane si intrecciano con quelle militari, anche se a tratti qualcosa nel montaggio sembra non funzionare, come per esempio nel passaggio rapidissimo da -60 a -30 giorni (scoprirò, poi, che nella versione "lunga" i fatti che in quella breve si collocano nell'ultimo mese erano, invece, inseriti nell'intervallo precedente), scandito da una misera scena di pochi secondi. A parte poche defaiance, la narrazione scorre intensa ed efficace, grazie anche a un cast di tutto rilievo, salvo, forse, le ragazze dei protagonisti: la cameriera e Cinzia sono entrambe sciape e non all'altezza delle controparti maschili.

Abile la mano del regista, nel costruire la tensione, pur senza ricorrere a forzature nè inverosimiglianze. Una delle qualità che più si apprezzano in quest'opera, discostandola dalle omologhe d'oltreoceano, è proprio l'equilibrio della storia, che non insegue situazioni particolarmente drammatiche o teatrali, dimostrandosi assai realistica.

 

Si tratta senza dubbio del miglior lungometraggio italiano su questa tematica, e probabilmente anche lo spessore degli attori lo rende oggi irripetibile. Del resto, perfino quelli che vi hanno recitato oggi non sembrano all'altezza di ciò che qui promettevano (in primis, Amendola).

 

Dispiace leggere i commenti di quelli (ragazzini, presumibilmente) che etichettano questo film come fuori tempo: i film non dovrebbero essere solo per riflettere il presente, ma anche per conoscere e comprendere il passato. Mano a mano che l'arte del cinema invecchia, le nuove generazioni si trovano di fronte a un lascito eccezionale che soltanto un secolo fa non esisteva neppure: la possibilità di "vedere" quelli che sono venuti prima, e conoscerne abitudini, sogni, paure e speranze. E' vero: oggi non c'è più la leva obbligatoria, e i ragazzi sono (sempre) più immaturi, vacui, asociali, egoisti. Opere come questa dovrebbero semmai servire da riferimento, per guardare al presente e chiedersi cosa non stia funzionando, per aver prodotto giovani che sono interessati solo a passare le vite sui telefonini idolatrando imbecilli asessuati che misurano il proprio valore attraverso il numero dei propri "seguaci".

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