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La vita oscena

Regia di Renato De Maria vedi scheda film

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La recensione su La vita oscena

di MarioC
5 stelle

Oggetto filmico di non facile classificazione, questo La vita oscena. Il cui difetto, più che nelle lodevoli intenzioni e nella originale realizzazione, sta in una freddezza e programmaticità di fondo che sembrano eludere ogni ipotesi di coinvolgimento emotivo. Tratto dalla autobiografia omonima di Aldo Nove, il film ripropone interi brani del libro, affidandoli alla voce respingente di Fausto Paravidino. Il rischio c’era ed è stato probabilmente calcolato: Nove è scrittore della contemporaneità (con tutto il bagaglio di difetti che ciò comporta), comunque capace di trarre dalle parole lacerti di sporca poesia. Trasposto sullo schermo, il suo lessico pare però piuttosto artificioso, perdendo nella declamazione la forza muta della disperazione che lo informa.

Nella riproposizione delle traversie esistenziali di un giovane cui la vita ha presto riservato un trattamento senza guanti bianchi, De Maria si abbandona a virtuosismi tecnici reiterati e stranianti che, tuttavia, costituiscono la parte più rocciosa e potente del suo lavoro. L’incipit è folgorante: accompagnata dalla musica (anche) di Gianni Marroccolo, la cinepresa balzella da un ambiente all’altro, da un periodo all’altro (verrebbe da dire da un quadro all’altro), snocciolando con onesta chiarezza la rivendicazione di uno stile dissonante. Esaurita l’esposizione rapsodica dei fatti e degli antefatti, La vita oscena si incolla successivamente al protagonista (un Clement Metayer tutt’altro che disprezzabile) e lo segue nelle sue peregrinazioni, sostanzialmente interiori, registrando iterazioni di frasi, gesti e comportamenti che allontanano progressivamente lo spettatore da un reale centro di gravità permanente, un po’ soffrendo di prevedibilità e, appunto, di ripetitività.

I problemi di distribuzione che la pellicola ha patito ne segnano, in ogni caso, un punto a favore. In Italia si fanno tanti, troppi film di inutile e pretenziosa bruttezza; a La vita oscena andava almeno riconosciuto un talento di fondo, forse dissipato in quella che potremmo definire ostinazione poetica contaminata dalla già ricordata freddezza di base.  C’è parecchio sesso (mai volgare, semmai di tristezza cupa e disperata solitudine), uso di droga, nessuna concessione alla possibilità di un lieto fine che chiuda circolarmente la storia. Ma il difetto del film non sta in queste (presunte) sgradevolezze. E’ che alla fine si resta con la sensazione di un’occasione potenzialmente epocale, probabilmente sprecata, con l’idea che il libro di Nove andrebbe semmai letto ed assaporato in piena solitudine ed al netto delle musiche assordanti e spesso dissonanti e del montaggio nervoso e spiazzante di cui De Maria ha farcito il film.  

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