Regia di Brian Percival vedi scheda film
Sarebbe veramente curioso indagare sul perché della continua uscita, in particolare negli ultimi anni, di tanti film sul nazismo e l’Olocausto. Semplice tendenza destinata a sfumare tra qualche anno, oppure necessità di rivendicare gli sbagli del passato per mettere in guardia sulle crepe del presente?
Quale che sia il motivo, una cosa è certa: il pubblico si riversa in massa a vedere film come “Il bambino con il pigiama a righe” (2008) oppure questo oggetto di analisi.
È furbo chi partorisce queste opere, giacché fanno sempre leva su traumi universalmente riconosciuti come tali, quindi a sicura portata di lacrime (e queste ultime, sovente a torto, vanno quasi sempre di pari passo con gli applausi). La commozione è talmente facile e telefonata da non potersi definire forzata. Anzi, “Storia di una ladra di libri” regala esattamente tutto ciò che lo spettatore si aspettava da essa. Non molto di più, e proprio qui sta il suo limite: non rompe le barriere, non va oltre.
Ciononostante si tratta di un prodotto di alta qualità ed egregia fattura, che porta la colpa di un quarto d’ora di troppo, ma riesce comunque a coinvolgere fino allo straziante finale.
Poi va detto: la pellicola chiude le porte alla profondità introspettiva della quale avrebbe potuto far tesoro; rinuncia a scavare nelle ragioni (o nella mancanza di esse) del male, ma si limita semplicemente a mostrare i due ragazzini che urlano a squarciagola il proprio odio per il Führer.
A tratti eccessivamente mieloso, ma costantemente attraversato da una solida tensione, ha il grandissimo pregio di un cast eccezionale (la giovane Sophie Nélisse, protagonista del film, è bravissima).
Aggiunge poco ai suoi predecessori, ma si rivela comunque convincente, e costituisce un solido mattone in più da aggiungere al muro dei ricordi di una delle più gravi stragi della Storia.
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