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Noah

Regia di Darren Aronofsky vedi scheda film

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La recensione su Noah

di EightAndHalf
6 stelle

Le meraviglie del manicheismo.

Non è facile parlare di Noah. Lo sarebbe se fosse un kolossal normale, ma siccome Aronofsky, pur non essendo un asso della cinematografia contemporanea, non è certo l'ultimo arrivato, ed è sempre stato, nella buona e nella cattiva sorte, uno sperimentatore, il suo kolossal biblico non può essere (del tutto) uno svendersi al miglior offerente per cercare risorse e arricchimento. Noah non è un film arido, campato in aria, davvero liquidabile in quattro e quattr'otto. Ed è strano pensarlo, perché a vedersi il film si propone come un'esplosione senz'anima di effetti speciali e un succedersi manicheo e grossolano di un'umanità leggendaria a rischio di estinzione. Eppure, a ben guardare, il manicheismo ostentato (e la magniloquenza delle immagini ad esso legate) è una scelta voluta di Aronofsky, e il volersi confrontare con il tema del rapporto Uomo-Dio senza porsi obbiettivi di riflessione filosofica è una scelta paradossalmente coerente con la struttura stessa di un genere definibile "biblico". Filosofia, in Noah, non vuole essercene. C'è la riflessione, sì, ma di tutt'altra natura. L'idea di discutere di qualcosa di primordiale e iniziatico, per l'intera umanità (e davvero di questo si parla, perché il film si prende indubbiamente sul serio), cozza terribilmente con l'eccesso che Aronofsky mette in scena, come il carattere tematico sfacciatamente esplicito dei Vigilanti, angeli caduti la cui anima dorata è "bloccata" dalla terra e dalla finitezza di ciò che è solido, così come la legione esorbitante della stirpe di Caino, che pure sarebbe, secondo la storia del film, promotrice di una civilizzazione ante litteram che ha ammorbato in maniera virulenta l'intero Creato fatta eccezione per pochi frammenti di terra difesa dalla dinastia di Seth (fratello sopravvissuto di Caino). Eppure l'armonia immaginativa delle immagini e la piattezza dei personaggi nella prima metà del film è qualcosa che va ben oltre la disattenzione e il semplice "errore di sceneggiatura". Il mondo prima del Diluvio Universale è un mondo leggendario in cui si vive divisi fra Bene e Male, in cui l'uomo ha commesso peccato (Adamo ed Eva), e si è diviso fra persone buone e persone cattive (Abele, morto, con Seth, e Caino). Il manicheismo, insomma, nel mondo pre-Diluvio, si esprime nelle sue forme più esplicite e irruente, tanto da non lasciare nessun dubbio. Per questo, nella prima parte, Aronofsky si dilunga nello splendore delle immagini: è la bellezza del primordiale, raccontabile in maniera classica e ricca di fronzoli. Poi, però, con il Diluvio, le cose si complicano. 

 

Il secondo peccato originale.

Se con Adamo ed Eva era iniziato il percorso di divisione definitiva fra Bene e Male, con il Diluvio Universale abbiamo la fusione inesorabile di entrambe le dimensioni all'interno dell'individualità dell'uomo. Forse consapevole che il Male sarebbe prevalso, Dio decide di sterminare l'umanità e di sterminare "il manicheismo", in maniera tale da creare nuovi presupposti, nuove umanità. La nuova ricchezza che il Dio di Noah sembra prefiggersi è creare la facoltà del dubbio, l'ambiguità. Così Noé diviene improvvisamente incapace di comprendere la volontà del Creatore, e finisce per farsi odiare dai familiari (e dallo spettatore pure) perché convinto di aver capito che la razza umana debba estinguersi e che lui debba uccidere le figlie di Ila (Emma Watson) e di Sem suo figlio perché l'unica loro utilità era stata quella di difendere quel poco di esistente che Dio voleva sulla propria Terra (gli animali). Noé fa lo stesso errore dell'antagonista, capo della stirpe di Caino: prende la decisione che spetta a Dio. Se l'antagonista ha convinzioni fortemente antropocentriche, e pensa che l'uomo debba stare al centro di tutto e sottomettere le altre razze animali, Noé è convinto che la razza umana debba scomparire e che solo gli animali debbano sopravvivere. Entrambi divengono incapaci di trovare una via di mezzo, che diviene invece propria dei personaggi centrali fra i due (moglie e figli di Noé). Il mondo smette di essere fatto solo di bianco e nero, nascono le sfumature. E ci si comincia a chiedere chi ha ragione, chi ha torto, e cosa davvero voglia dire Dio. Con il Diluvio Universale di Noah Dio ha detto addio all'Uomo, e l'Uomo ha detto addio a Dio. La separazione è diventata netta, ineluttabile. Noé salva l'umanità al prezzo di uccidere donne e bambini, esseri buoni destinati a soccombere. Il figlio Cam decide di scappare e manterrà sempre malcontento nei confronti del padre. E lo stesso Noé, che pure per la maggior parte del film finisce per incarnare, più che eroismo, bigottismo davvero fastidioso, si riscuote soltanto alla fine, quando lui stesso decide di seguire l'Uomo (e l'Amore) e di abbandonare, paradossalmente, Dio, nella speranza (una Fede che ormai è diventata Illusione) che si possa creare un compromesso. Ecco che nasce l'ambiguità, la fratturazione della divisione fra Bene e Male: un secondo peccato originale. L'umanità, con le sue complessità può avere inizio.

 

Noah dice questo, essenzialmente. Non dice granché altro. Il linguaggio di Aronofsky è magniloquente, maestoso. Invero, leggermente arido, funzionale ma tirato per le lunghe, coerente ma anche un po' furbetto. Un prodotto che in se stesso è un compromesso fra faciloneria e sottile riflessione esistenziale (la seconda parte è soprattutto fatta di dialoghi, quindi l'interesse nei confronti di qualcosa di più del semplice intrattenimento è evidente, come lo è dalle immagini della Creazione raccontata da Noé, splendide quasi in stop-motion). Un compromesso debole e facilmente incendiabile. Eppure è una marcia in più rispetto al solito kolossal, è un kolossal d'autore, e con tutti i difetti che gli si possono imputare, non si può escludere che si avverta una complessità (evidente, sfacciata, "primordiale") mascherata da semplice leggendaria avventura. Non così (tanto) scontato.

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