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I giorni di Nietzsche a Torino

Regia di Júlio Bressane vedi scheda film

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La recensione su I giorni di Nietzsche a Torino

di mm40
3 stelle

L'ultimo periodo di sanità mentale per Friedrich Nietzsche coincise con il suo soggiorno torinese nel 1888. Il film ripercorre quei giorni tramite gli scritti del filosofo.

 

I giorni di Nietzsche a Torino sono stati fondamentali - in negativo - per la sua esistenza: fu in quel breve periodo che la sanità mentale del filosofo cominciò a vacillare e a decretare la fine di ogni sua attività intellettuale. Lo attendevano infatti ben 12 anni (ne aveva appena 44) di reclusione in sanatorio, cioè sostanzialmente in un manicomio. Ancora oggi ci si interroga sul perchè di tale tracollo psicofisico improvviso, nessuna risposta è mai sembrata del tutto convincente; nel 2001 il regista portoghese Julio Bressane, con una sceneggiatura da lui scritta insieme a Rosa Dias, porta sul grande schermo il filosofo tedesco ritratto nella sua parentesi piemontese e si dimentica completamente di accennare anche solo in maniera vaga al nodo centrale di tutta la questione. Cosa accadde, ci fu un evento concreto scatenante? Fu sifilide, fu qualcosa di pregresso? Niente. Il film non sfiora neppure l'argomento, limitandosi a raccontare Nietzsche attraverso la sue parole e soltanto quelle, tratte dalle opere coeve al soggiorno in quel di Torino; in tal modo la sostanza narrativa risulta parecchio flebile e il finale della pellicola pare completamente sconclusionato, privo di un nesso logico solido. Ancora più inquietante è la scelta kitsch e immotivata di rappresentare Nietzsche nella Torino del terzo millennio, con evidenti anacronismi che lasciano supporre infine tale conclusione: quello che vediamo in scena per gran parte del film è solamente il fantasma del filosofo, che ancora aleggia sulla città; le immagini di tanto in tanto si fanno in bianco e nero e forse - ma sempre così, azzardando - quello è il vero Nietzsche del 1888; quando infine la pellicola si fa sgranata, a colori, stiamo osservando in soggettiva, dallo sguardo del filosofo. Ma perchè mai dovrebbe avere una visione sgranata? Boh. Peggio di tutto ciò c'è la mezzora finale, quando la malattia comincia a manifestarsi e Bressane per suggerire la follia non trova miglior espediente che ribaltare le inquadrature o farle girare su sè stesse, provocando in tal modo soltanto un forte senso del vomito nello spettatore. Ulteriori perplessità provengono da innumerevoli inquadrature da circa mezzo metro di altezza, come fosse - per capirci - il punto di vista di un cane. E dire che Bressane è tutt'altro che uno sprovveduto e il protagonista Fernando Eiras regge bene in un ruolo difficile e presente in scena quasi ininterrottamente. A Venezia l'opera ha ricevuto un premio minore. 3/10.

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