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Abus de Faiblesse

Regia di Catherine Breillat vedi scheda film

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La recensione su Abus de Faiblesse

di alan smithee
4 stelle

Da una storiaccia vera  ed autobiografica a me completamente sconosciuta, ma piuttosto nota per aver riempito i rotocalchi francesi circa quattro anni orsono  ("l'affaire Breillat/Rocancourt" mi verrebbe da dire...con un po' di sarcasmo...), riappare Catherine Breillat, regista dei "corpo a corpo", donna tenace che sa sempre come far parlare di se' e che fa di storie controverse e dure il suo companatico di base per esplorare caratteri e personalità complesse, indomabili e maniacali. Maud è una regista famosa che una mattina si risveglia semi paralizzata su metà del corpo. La ripresa e riabilitazione sono dure e non la riportano affatto in piena autosufficienza. Nel contempo la famiglia pian piano la allontana, o forse è lei stessa a volersene allontanare. Per caso in televisione la donna scopre la figura di uno scaltro ed affascinante giocatore d'azzardo e imbroglione impenitente (un muscolare  e indubbiamente affascinante con faccia da poco di buono Kool Shen) e ne rimane affascinata. L'uomo diventa la sua idea fissa per il suo prossimo film, per il quale lo vuole come protagonista. Per questo lo contatta, ne rimane affascinata e lo tiene con sé,  pur consapevole delle intenzioni circospette dell'impenitente mascalzone. Vittima pure lei di una truffa milionaria, la donna arrivera' a compromettere tutto il suo ingente patrimonio, accecata dalla prorompente fisicità e mascolinità dell'affascinante imbroglione. "Ero io, ma non ero io", confessa in lacrime la regista alla fine, attorniata dalla sua fredda famiglia, incredula ed allibita, ma interesata solo ai soldi truffati. "C'etait moi, mais ce n'etait pas moi" ripete instancabilmente una Huppert impietrita ed emaciata, lacrimante, qui nuovamente coinvolta a dar vita ad un personaggio al limite della follia più sfrenata ed isterica. Peccato che la storia rimanga tutta e molto fine a se stessa, utile forse solo alla regista per una propria auto-consapevolezza con fini psicoanalitici, che tuttavia resta avulsa e molto estranea ai sentimenti dello spettatore. Francamente la Huppert comincia un po' troppo ad esagerare con le moine da pazza scatenata, le movenze  isteriche, qui rese quasi ironicamente ed involontariamente comiche attraverso una zoppia forzata, scatenata, improbabile, che rischia di ridurre la protagonista ad una ridicola macchietta da burattino senza fili, non sapessimo che poi in fondo si tratta di uno spiacevole (e costosissimo) episodio vissuto di persona dalla Breillat. Insomma cio' che in realtà piu' preoccupa è vedere la Huppert sempre in fondo impegnata nella stessa parte di donna folle e dura, pazza e psicotica. Dubbi di quanto sia brava non ne serbiamo di certo, ma talvolta nei 5/6 film che interpreta instancabilmente e voracemente con cadenza annuale, un ruolo tranquillo di donna normale "del mondo", saprebbe riportarla ad un ruolo per lei insolito, e dunque ad affrontare una vera sfida originale che ce la faccia finalmente riapprezzare in qualcosa di diverso e accattivante. Ma quest'ultimo  e solo un appunto totalmente personale, che tuttavia mi è nato spontaneo nel rivedere, con un certo imbarazzo, l'attrice in situzioni ormai viste e riviste in decine di altre zue precedenti occasioni (zoppia e problemi motori a parte, naturalmente).

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