Regia di Rupert Everett vedi scheda film
Il passion project di Rupert Everett sugli ultimi disgraziati mesi della vita di Oscar Wilde ci rende partecipi del dramma umano della caduta del grande autore attraverso la sentita interpretazione di Everett, che al debutto come regista se la cava dignitosamente.
Gli ultimi mesi della vita di Oscar Wilde, dopo la liberazione dalla prigionia ai lavori forzati a cui fu condannato dopo che venne resa nota la sua relazione con Lord Bosie Douglas. Wilde (Rupert Everett), minato nell’animo e nella salute, è assistito da una ristretta cerchia di amici, tra cui Robbie Ross (Edwin Thomas) e Reggie Turner (Colin Firth) che lo portano via dall’Inghilterra, verso la Francia (Berneval, sulla Manica), l’Italia , a Napoli, dove si riunisce per un periodo col suo amato Bosie (Colin Morgan), e di nuovo la Francia, a Parigi, dove morirà in miseria nel novembre del 1900. La malinconica favola del Principe Felice, che legge al bambino delle bettole parigine, lo riporta al ricordo delle letture serali ai figli che non vedrà mai più, così come la moglie Constance (Emily Watson) che ancora gli vuole bene e da cui economicamente ancora dipende.
Per Rupert Everett, sceneggiatore, regista (debuttante), produttore e protagonista della pellicola, questo è un progetto covato e inseguito per anni, un omaggio appassionato al grande scrittore irlandese di cui l’attore britannico ha più volte interpretato le opere sia al cinema che a teatro, un nume adorato al punto di dichiarare: "Per me Oscar Wilde è come Cristo, è umano e divino al tempo stesso, possiede tutti i peggiori vizi umani, è geloso, voluttuoso, è un grandissimo snob. È una grande fonte d'ispirazione". In quest’opera a Everett interessa mostrare l’uomo Wilde più che l’artista, e d’altronde gli anni della geniale creatività sono ormai alle spalle, nel crepuscolo degli ultimi giorni non è più nelle condizioni di comporre nulla, anzi per racimolare qualche soldo il grande autore incassa anticipi su commedie di cui non è in grado di scrivere nemmeno una riga. Al centro dell’attenzione è la caduta umana di un gigante della letteratura abbattuto dal conformismo di quella stessa società che l’aveva poco prima esaltato e l’ostinata ultima resistenza di una mente sempre brillante ma inesorabilmente ridotta all’ombra di ciò che era.
Come regista Everett non è una grande rivelazione eppur tuttavia non se la cava male. Pur senza grandi invenzioni stilistiche né una visionarietà che avrebbe portato il film su un altro livello, ci trasporta con scioltezza attraverso le ultime tappe del percorso del protagonista, dalle brume della manica alle feste orgiastiche nel sole di Napoli ai vicoli ed ai cabaret goderecci della Parigi della Belle Epoque, utilizzando i flashback per i ricordi di un glorioso passato ormai perduto, e riesce comunque e non far mai calare la nostra partecipazione al dramma umano di Wilde.
E' però come interprete che dà il massimo, trasformandosi in un impressionante Wilde: grasso, imbolsito, invecchiato e distrutto moralmente dalla prigionia subita, ma ancora capace di sprizzare gli ultimi guizzi di genialità e di godimento.
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