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Il grande quaderno

Regia di János Szász vedi scheda film

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alan smithee

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La recensione su Il grande quaderno

di alan smithee
5 stelle

Dal primo romanzo della “Trilogia della città di K” di Agota Kristof, il regista Janos Szasz adatta una trasposizione cinematografica per certi versi lineare ed attinente, scrupolosa nel rendere i contorni di un’ambiente pregiudicato da una guerra (la seconda mondiale) che sta mettendo la popolazione allo stremo. Il film, come il romanzo, si concentra sulla figura di due gemelli perfettamente identici, i cui genitori decidono di trasferirli in campagna dalla nonna materna, per sottrarli ai pericoli e alle razzie e persecuzioni di cui son vittima i cittadini durante una ritirata degli invasori dalle principali città del nord Europa.

Peccato che la nonna sia un mostro di cattiveria e crudeltà, concentrato di rancore verso la figlia e di insensibilità verso i suoi bellissimi nipoti, che infatti appella dispregiativamente come “figli di cagna”, tiene alla fame e nutre solo in seguito ad evidente dimostrazione di essersi entrambi sottoposti ai lavori pesanti come prigionieri di guerra.

La drammatica circostanza induce i due saggi e intelligenti ragazzi ad escogitare una tecnica di vita altamente formativa, che li vede sottoporsi ad estenuanti tour de force per modellare il proprio carattere, abituando il corpo a resistere alle punizioni più dure e ai sacrifici più debilitanti, nonché concentrandosi nel tempo libero e di notte a continuare gli studi in modo autodidattico, leggendo la Bibbia e tenendo aggiornato un apposito quaderno/diario, ove entrambi annotano i dettagli di questa dura esperienza formativa.

Lo stile della narrazione, che bene o male rispecchia in linea di massima buona parte di quanto narrato nel libro originario, è tuttavia piuttosto laccato ed edulcorato, nello stile accattivante ma un po’ caramelloso tipico della regista polacca Agniezska Holland per intenderci (Olivier Olivier, Il giardino segreto, Poeti dall’inferno), circostanza che rende la pellicola piuttosto demagogica e fine a se stessa, celebrativa certo di virtù fuori del comune se attribuite a ragazzi in erba, e pertanto almeno a tratti fastidiosa da accettare e condividere, oltre che realmente poco plausibile.

Un’atmosfera un po’ da Libro Cuore che rimane un po’ sospesa in un finale interrotto almeno quanto il libro, lasciando lo spettatore un po’ interdetto circa l’agire dei due protagonisti, in dubbio su come interpretare alcuni sviluppi non molto chiariti nel film, soprattutto quelli inerenti la tragica sorte a cui è destinato il padre dei due giovani, vittima di una mina nell’atto di una fuga progettata in tre ma attuata poi solo da uno dei gemelli. Può essere che successivamente eventuali seguiti che tratteranno il prosieguo della vicenda in linea con i due romanzi successivi, aiutino a farci capire.

Fino ad ora si assiste più che altro ad episodi di sadismo o auto-afflizione che ci lasciano piuttosto freddi o poco coinvolti.

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