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The Canyons

Regia di Paul Schrader vedi scheda film

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La recensione su The Canyons

di Kurtisonic
8 stelle

Più che riferirmi alla sceneggiatura di Bret Easton Ellis, quel tavolo sotto le luci artificiali e intorno al quale quattro persone spettegolano fittamente, atteggiandosi a ciò che vogliono far credere di poter essere, fa pensare ad uno dei migliori racconti di un pezzo da novanta del minimalismo americano, Di cosa parliamo quando parliamo d’amore, di R.Carver da cui credo Ellis avrà imparato la lezione. L’amore di cui parla Schrader, che dimostra per l’ennesima volta la sua sensibilità artistica e la mancata considerazione del sistema nei suoi confronti, è quello per il cinema. The canyons è un impietoso, squallido ed asciutto ritratto sullo stato dell’arte e sulla dequalificazione sentimentale che regolano le umane vicende. Schrader è oltretutto un grande “artigiano” del cinema, (con budget ridotto all’osso e mezzi di produzione completamente fuori dagli standard obbligati, di cui le critiche spietate al film sono il “regalino” conseguente) non lesina sfoggio delle sue capacità estetiche, linguistiche, compositive. Eppure l’immagine stilizzata e precisa non è neanche per un attimo fuorviante rispetto alla traccia malata che esprime, è funzionale allo specchio reale che riflette una luce che si fa sempre più tenebrosa sul cinema e di conseguenza sulla vita. Ambiguità, contraddizioni, fragilità, immaturità, i protagonisti di The canyons sono emblematici, contaminati dalle stesse alienanti aspirazioni, tendenti a nascondere il proprio vuoto assoluto Lo spettatore nega di ritrovarsi in tali personaggi, ma riconosce la loro bassezza morale, il rinegoziare i sentimenti per confonderli con delle pulsioni tutte da decifrare. La visione critica e morale del regista si amalgama alla perfezione con la sceneggiatura  dinamica e quanto mai appropriata (forse è la migliore traduzione cinematografica di una scrittura di Ellis,  che sia in American psyco o peggio ancora con Le regole dell’attrazione non ha sortito risultati così apprezzabili). Sintesi, ritmo incalzante, sovrapposizioni, rendono The canyons appassionante e amaro, dalla lettura multi stratificata. Ambientato nel mondo che gira intorno al cinema, di cui non si vedrà mai un riferimento materiale, The canyons è la storia di Christian, produttore cinematografico, prototipo spinto del ricco e annoiato che usa la sua avvenente compagna, Tara, per giochi erotici con scambisti e voyeur. Finanzia la realizzazione di un filmetto caldeggiata dalla sua assistente Gina, il cui ragazzo, Ryan sarà l’interprete principale. Presto si saprà che Ryan e Tara facevano coppia fissa e forse sono ancora innamorati. Su questa traccia degna di una pessima soap opera si innesca un noir psico drammatico a tinte fosche che contagia la visione metacinematografica che Schrader vuole sottolineare. Come detto si parla di cinema,  quello estinto, come mostrato all’inizio e alla fine del film con foto immagini di sale abbandonate e in pieno sfacelo. La regia le resuscita per un attimo ma non è il suo obiettivo primario, altrettanto velocemente tutto scompare, la vita reale dei protagonisti dovrebbe essere il cinema odierno, è la forma che Schrader considera come il vero involucro di contenuti importanti e nuovi ma che non sono ancora adeguatamente rappresentati.  Cellulari che filmano, e successivamente smartphone, tablet, nei loro schermi sempre più minuscoli e ristretti si sviluppa l’esistenza dei protagonisti, che rischiano di essere umani minuscoli e ridotti senza che si guardi anche all’indietro, senza che si ricorra a strumenti di comprensione senza i quali la contemporaneità è incomprensibile.  Se non si è stati capaci di afferrare la “grande bellezza” dello schermo, i suoi significati, i simboli, il suo percorso narrativo e culturale, da un microscopico visore non uscirà mai niente di valido, ma sarà la riproduzione infinita e inutile della stessa immagine, un accusa che  il regista muove all’establishment ufficiale, al suo immobilismo, al riscontro di mercato, alla sua mancanza di coraggio e di innovazione. Siamo alla chiusura del cerchio, nuovi e vecchi volti rinnovano il rito della comunicazione, quella che però non dice nulla in faccia all’altro che non sia menzogna, la finzione vince ancora. Si incontrano e parlano di qualcosa. D’amore, sicuro, o probabilmente di morte.

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