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La quinta stagione

Regia di Peter Brosens, Jessica Woodworth vedi scheda film

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La recensione su La quinta stagione

di davidestanzione
6 stelle

In un villaggio nelle Ardenne il ciclo della natura non conosce più regole e la primavera non arriva più. Primavera, estate, autunno, inverno e, forse, di nuovo primavera, se il ciclo della natura si deciderà o no a chiudersi portando così a compimento il facile rimando kimkidukkiano. Il paganesimo che infuoca e lava via le macchie e le colpe collettive, interiorizzate dal medesimo universo naturale, si rileverà ben presto l'unica via percorribile.

 

Dopo aver Khadak in Mongolia e Altiplano in Perù, i registi Peter Brosens e Jessica Woodworth concludono l’ideale trilogia nel loro paese natale, il Belgio, applicandovi col medesimo e assoluto rigore la loro implacabile e simbolica raffigurazione della natura.
Una natura che si carica di pesti rimandi pittorici e minacciose incombenze sospese, che non dà risposta alcuna ma moltiplica agli infinito gli interrogativi e gli ermetismi.

 

Un film sensoriale, “La cinquième saison”. Che vada approcciato a livello epidermico con quasi tutti e cinque i sensi escluso il gusto (che non sia quello della visione) appare evidente già da una delle prime scene: quel bacio che nonostante abbia tutti i presupposti della volgarità e avvenga quasi integralmente al di fuori delle bocche di entrambi i partner coinvolti si trasforma per lo spettatore in un cadenzato momento di contemplazione partecipe: ti sembra davvero di sentirlo addosso, quel bacio, mentre lo guardi e ti ci abbandoni. Sulle tue labbra e sulla tua pelle.

Ragion per cui, ed è bene chiarirlo fin dall’inizio, il film di Brosens e della Woodworth è sì un film molto ricercato sul piano visivo ma non per questo estetizzante e patinato. E’ un film che allude, che suggerisce visioni e squarci, un film d’arte nel senso più cristallino del termine, capace di sostanziare i rimandi dando a ciascuno di loro un netto e preciso peso specifico.
Ci sono esecuzioni di balletti corali che odorano di Paesi Bassi in maniera lampante, sedie a rotelle, galli sgozzati in malissimo modo con asce da guerra ed immersi in scene dall’esemplare simmetria compositiva (è un film pittorico, per l’appunto, e i rimandi da pinacoteca si sprecano).
Visioni rubate qua e là a un paesaggio così gelidamente ostile e brullo che parrebbe quasi riluttante ma che al contempo sembra essere perfetto per essere trasposto sul grande schermo in questi termini, così rari, così introvabili.

 

Le stagioni dal canto loro si alternano inevitabili corredate da visioni progressivamente sempre più addensate, e dunque anche più complesse e stratificate.
Nuvole in viaggio (Kaurismaki, ma solo in questo caso, non c'entra) scurissime si fanno chiazze mortifere nel cielo annebbiato, il volto fisso e dolente spalancato sull’orrore di una ragazza viene tampinato posteriormente da quelle che sembrano lacrime colanti offerte direttamente dalla natura, il crollo innevato e tragico di una montagna.

I pesci boccheggiano, i ruscelli scarseggiano, il tutto si carica di echi di cinema eternato e sconfinato, tirando in ballo addirittura Tarkovskij.

 

C’è chi addirittura considera questo film l’unica opera autenticamente premiabile con il Leone d’Oro. Il che è un po’ un eccesso di sofisticatezza probabilmente. Perché nonostante abbia dei palesi meriti nell’originalità del tratto tanto da risultare un'opera addirittura ai confini dello sperimentale, “La cinquième saison” è anche emblema di un cinema tragicamente senza baricentro, che si autoinfittisce di rimandi d’ogni tipo contaminando il tutto con zampate perfino videoartistiche ma senza mai prendere una direzione univoca: l’estremo realismo applicato ai personaggi e agli ambienti caro ai Dardenne si mescola in un inarrestabile sarabanda di trovate riconducibili all’ironia nordica dei film di Kaurismaki, con largo uso di inquadrature ampie e camera fissa e il ricorso a dialoghi nullificanti e circostanziali, che sembrano girati e messi lì quasi per caso.

Il gusto per la trovata bizzarra (vedi la processione dagli elementi gargantueschi) apposta con una certa continuità con una tragicità di tono ben maggiore finisce pertanto con lo svuotare lo spettatore a lungo andare, lasciando vagamente perplessi e sinceramente disorientati. 

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