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Paradise: Faith

Regia di Ulrich Seidl vedi scheda film

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La recensione su Paradise: Faith

di OGM
10 stelle

“Non crediate che io sia venuto a portare la pace sulla terra; non sono venuto a portare la pace, ma una spada. Sono venuto infatti a separare il figlio dal padre, la figlia dalla madre, la nuora dalla suocera, e i nemici dell’uomo saranno quelli della sua casa. Chi ama il padre o la madre più di me, non è degno di me; chi ama il figlio o la figlia più di me, non è degno di me.” (Mt 10, 34-37)

Gesù vuole il nostro cuore tutto per sé. In suo nome Anna Maria, una signora austriaca di mezz’età,  finisce per trascurare - e poi maltrattare - il marito musulmano, anziano e paraplegico.   La citazione evangelica di apertura ci dimostra come la violenta provocazione antireligiosa contenuta in questo film possa, in realtà, essere interpretata come una scomoda verità di fede. Basta leggere il messaggio in maniera corrispondente  alle reali intenzioni dell’autore, che non sono quelle di affermare che l’amore di Dio escluda l’amore per gli uomini. Non è questo che Matteo ci vuole comunicare. Perché la versione corretta è la seguente: l’amore di Dio esclude l’amore umano, quello che si esprime e ragiona secondo categorie esclusivamente terrene, che non guardano oltre le esigenze contingenti di questa vita. Il regista Ulrich Seidl, con questo secondo capitolo della sua trilogia dedicata al paradiso, non fa che portare l’idea alle estreme conseguenze, mostrando gli eccessi a cui può pervenire la sua applicazione da parte di noi esseri imperfetti.  L’assunto di partenza è sacrosanto, anche perché del tutto conforme al buon senso: il rapporto coniugale perde il suo profondo significato se diventa un vincolo nemico della libertà dello spirito, ostacolando la ricerca individuale della felicità interiore. Non è infatti ammissibile mettere da parte ciò in cui si crede semplicemente per andare d’accordo: un simile compromesso ha ben poco valore, visto che l’intesa così raggiunta sarà necessariamente circoscritta agli aspetti più superficiali delle personalità dei contraenti. Anna Maria, che, durante una prolungata assenza del consorte, si è convertita in una fervente cattolica, rigorosamente osservante, non è disposta a rinunciare a nessuno dei ferrei principi su cui ha deciso di impostare la sua esistenza. Vuole mantenersi casta e pura, pregare e fare penitenza, trascorrendo il suo tempo libero predicando porta a porta oppure cantando le lodi del Signore. Tuttavia, dentro i ristretti confini della sua anima di donna in carne ed ossa, il desiderio di assoluto non può che tradursi in integralismo, con una devozione che, tracimando dalla mente nelle viscere, subisce inquietanti derive feticistiche. Anna Maria è il punto fermo che deve lottare alla follia per restare tale, in mezzo al tumulto del mondo, in cui è difficile restare coerenti con se stessi anche quando si è da soli. Quella appassionata, eppure inverosimile eroina del cristianesimo,  vorrebbe raddrizzare con le proprie forze un universo storto, che va per i fatti suoi,  e che non ha nessuna voglia di ascoltare la meravigliosa novella che lei sogna di far arrivare nelle case di tutti, specialmente in quelle degli emarginati.  Anna Maria svolge la sua missione apostolica con la determinata ingenuità di chi pensa di poter spostare le montagne con la gentilezza, senza mostrare i muscoli e in maniera del tutto nonviolenta. Solo con il marito, che si ribella apertamente alla sua intransigenza, si sente costretta a ricorrere ad una crudele forma di boicottaggio. È  esattamente in quel punto che le sue scelte radicali toccano con mano il paradosso, l’ostacolo che si può concretamente superare solo cedendo le armi al dubbio. L’atto di resa della protagonista è segnato dalla stessa irruenza che aveva accompagnato la sua battaglia. Nell’epilogo, un eros coartato rompe le righe esplodendo di rabbia repressa. In  Paradies: Glaube la catarsi della tragedia è il dramma che riesce finalmente a spezzare le catene di una disumana disciplina. Nello stesso momento, la teoria cessa di compiere acrobazie per farsi avanti attraverso il percorso accidentato della realtà.  Ulrich Seidl ci illustra minuziosamente la fatica di questo cammino, in cui i gesti si ingarbugliano e le parole inciampano. Ed è, non ultimo, per i suoi spettacolari arabeschi di improvvisazione che questo film merita il marchio del capolavoro.

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