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Cha cha cha

Regia di Marco Risi vedi scheda film

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La recensione su Cha cha cha

di OGM
8 stelle

Cha cha cha. Così si ride. Così si balla. Questa è la vita. Nino Frassica ha spesso interpretato il ruolo di ironico dispensatore di verità esistenziali. Ed anche Marco Risi lo sceglie per proclamare la morale del suo film, un noir metropolitano dedicato all’Italia dei fatti di cronaca nera intrecciati con squallide vicende di famiglie disgregate e la solita corruzione che dall’ambiente politico tracima in quello economico e viceversa. Dalle nostre parti, il giallo è spesso una gran brutta faccenda, destinata a consolidarsi come mistero di stato dalle mille ombre. La dietrologia si rivela un valido metodo investigativo ed un saggio approccio filosofico a questioni che nascono solo per rivelare la presenza di un potere occulto e per ribadirne, al contempo, la totale invincibilità. Il fantasma è in mezzo a noi, nella duplice veste di astuto faccendiere e subdolo assassino, eppure non si vede. È l’entità ambigua che si rende simpatica per entrare nelle nostre case e nelle nostre anime fragili, e poi portarvi la devastazione. Bisogna che, in quel pantano, non ci sentiamo troppo  insicuri, affinché quella viscida mostruosità possa accomodarsi al nostro fianco senza metterci subito in allarme. Così la possiamo sposare, farcela amica, affidarle l’amministrazione della giustizia. Il punto è che, per sopravvivere, abbiamo bisogno di fidarci di lei. Come la povera Michelle, che doveva trovare un marito ricco per crescere il figlio abbandonato dal padre, o magari forse solo per salvare la sua carriera di attrice. Oppure come lo stato, che continua a mantenere sotto la propria ala protettiva funzionari corrotti, per convenienza o semplice disinteresse. L’intreccio è compresso dal paradosso, nel quale alleanze ed inimicizie si rivoltano come carte sollevate da un colpo di vento. La trama è un complotto asfittico, in cui può accadere ogni cosa ed il suo contrario, dato che ognuno dei partecipanti alla partita è un doppiogiochista di professione. Chi si chiama fuori, e decide di non starci, si assegna automaticamente il ruolo della vittima, e perde, di fatto, ogni autorevolezza. Diventa un nessuno, ma ciò non lo sottrae ad una battaglia combattuta a suon di colpi bassi, quasi sempre mortali. Corso era un poliziotto onesto, che ha perso il posto per aver denunciato un collega dedito a traffici illegali. Adesso lavora come detective privato, e continua a non venir meno al dovere di combattere il crimine ed accertare la verità, costi quel che costi. L’uomo che non conta nulla, e che è già stato pubblicamente bastonato, continua, imperterrito, ad essere se stesso: un individuo che dal basso dà fastidio a chi occupa le alte sfere della società. Lo fa a mani nude, e con la testa sgombra da ideologie sovversive. La sua unica arma è il senso etico, sporcato appena un po’ dalle esigenze del mestiere, e benignamente contaminato dall’amore per una donna. Un eroe da romanzo d’altri tempi, a cui Luca Argentero presta la sua faccia più sommessa e pulita, da giovane soldato a cui non piace la guerra. La realtà, intorno a lui, è un sudicio caleidoscopio in cui ognuno si diverte a cambiare volto all’istante, sorprendendo il pubblico e seminando il terrore. Da qualche parte c’è però uno specchio segreto che cattura i segni premonitori del mutamento: foto scattate di nascosto,  video diffusi avventatamente in rete, colloqui telefonici intercettati. Il marcio viene costantemente spiato: e, una volta rivenduto, si presta a formare altri mefitici impasti. Il contagio si propaga a chi tocca, o anche soltanto guarda, il compiersi delle nefandezze. Lo sappiamo bene, ed è per questo che siamo tutti in ballo. Ci spostiamo avanti e indietro, ed anche un po’ di lato, ma dopo ogni giravolta il ritmo resta sempre uguale. Cha cha cha.

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