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La grande bellezza

Regia di Paolo Sorrentino vedi scheda film

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La recensione su La grande bellezza

di lamettrie
9 stelle

Esteticamente, per me un capolavoro assoluto. La fotografia è davvero sublime, sfruttando quello che solo pochissime città al mondo, come appunto Roma, possono dare.

Montaggio, luci, colonna sonora, interpretazioni: tutti questi aspetti accreditano una regia di livello assoluto. Compresa una sceneggiatura che si concentra in modo perfetto sul tema che vuole lasciar emergere. Dal punto di vista del messaggio, il film è una descrizione di tristezza. Sono quei film che a me, proprio per quella ossessiva puntualizzazione sulla depressione, lasciano a loro volta un po’ appesantito, però.

I protagonisti sono tutto ciò che la maggioranza vorrebbe essere: ricca, tanto da non dover lavorare o quasi; al centro di una sarabanda di divertimenti incessante, che sembra non permettere pause di riflessione su un dolore che si sta vivendo. Ma il film ha il merito di denunciare l’impossibilità di invidiare tali personaggi, di mostrarli per quelli che sono: sull’orlo della disperazione, esposti facilmente alle vie brevi della droga o di altre dipendenze.

Come dice Gep, l’unico modo per convivere con questa tristezza è il volersi bene a vicenda, accettando così meglio le miserie da cui si è travolti quotidianamente. Messaggio fine, anche se rivela lo squallore e la solitudine della vita di questi vip, al di là dei trenini e delle feste i cui eccessi servono solo da palliativo. Il protagonista si vede nella sua più profonda realtà soprattutto quando silenziosamente rivela ciò che gli manca: sensazioni di gioia autentica: come quando si commuove per un amore giovanile soltanto balenato, o a un funerale, o per scene in vede qualcuno che è coinvolto in situazioni liete e semplicissime. È questa la grande bellezza che ha sempre cercato? A mio avviso sì. Ma non l’ha mai trovata per colpa di un narcisismo senza limiti, di tipo moraviano. Comunque si è detto soddisfatto, per il semplice fatto che era al centro della vita mondana, dei pettegolezzi, e pure si era creato l’autorevolezza per rovinare la festa degli altri, senza che invece altri potessero davvero infangare la sua nomea agli occhi di quel pietoso teatrino di falsità che pure gli dava da mangiare, e parecchio.

Una fiera della vanità che lascia tristi chi ci guadagna, e lascia pure triste lo spettatore, che nota come la stessa bellezza estetica di Roma sia solo una scenografia: saranno stati tristi anche quelli della classe dirigente che a Roma hanno commissionato così bei monumenti? Sembrerebbe di sì, perché non c’è nessun richiamo a una antica bellezza perduta, che meriti di essere guardata con una venerazione umanamente giustificata.

I passaggi sulla chiesa restano ambigui, anche se rilevanti nella critica che sottendono. Più in generale, il film mostra bene come sia crollato definitivamente il mito della carriera: chi l’ha fatta, l’ha fatta tanto solo per il fatto che era profondamente laido. Quindi tale classe dirigente italiana dimostra di essere tanto più oscena moralmente, quanto più ha guadagnato.

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