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Maman

Regia di Alexandra Leclère vedi scheda film

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La recensione su Maman

di hupp2000
6 stelle

Parigi, oggi. Sandrine e Alice sono sorelle. La prima lavora in un’agenzia pubblicitaria, è divorziata e madre di due figli che può vedere nei giorni e orari stabiliti dal tribunale. La seconda è confortevolmente sposata, non ha figli, non ha bisogno di lavorare e si limita ad impartire qualche lezione privata di pianoforte. La tranquilla routine delle due sorelle viene sconvolta il giorno in cui riappare la madre che vent’anni addietro aveva abbandonato la famiglia per andare a vivere a Lione con il suo amante. Abbandonata a sua volta da quest’ultimo, la donna ha deciso di tornare a vivere nella Capitale. L’incontro si rivela fin dall’inizio burrascoso e il dialogo appare impossibile, tanto da indurre le due figlie a sequestrare fisicamente la ruvida genitrice per sottoporla ad una specie di processo nel corso del quale viene accusata di anaffettività, egoismo e comportamenti irresponsabili. La vicenda finisce con il modificare profondamente i rapporti tra le protagoniste, anche se il finale lascia seri dubbi.

 

 

Come nell’assai più riuscito “Les soeurs fâchées” del 2004 con Isabelle Huppert e Catherine Frot, la regista Alexandra Leclère sceglie per questo film attrici di alta classe: Josianne Balasko, Mathilde Seigner e Marina Foïs. Anche questa volta è presente una coppia di sorelle ma, invece di metterle in conflitto tra loro, le scaglia unite contro la propria madre. Una madre che nessuno vorebbe aver avuto: trasandata, pigra e autoritaria, sbevazzona e volgare. Josiane Balasko si abbandona al suo personaggio senza alcun timore di apparire sgradevole, sgraziata e perennemente dalla parte del torto. Non che le sue figliole siano stinchi di sante. Quando arrivano a legare la madre alla caviglia con una catena di una decina di metri ad un’ancora navale di circa trenta chili, il loro livello di cinismo e di indifferenza rasenta il grottesco. Qui risiede il maggior difetto di un film che sembra non sapersi decidere sul genere da adottare. I toni oscillano tra la commedia e il dramma familiare, sfiorando talvolta il teatro dell’assurdo. I dialoghi sono a tratti avvincenti per poi diventare quasi surreali o cadere addirittura nella banalità dei luoghi comuni sull’istinto materno, le crisi di abbandono e i vari fallimenti esistenziali di chiunque. Come talvolta accade, il naufragio viene evitato dalla prova di tre attrici perfettamente immedesimate nei rispettivi ruoli. 

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