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Open Road

Regia di Marcio Garcia vedi scheda film

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La recensione su Open Road

di OGM
4 stelle

La parola è il punto debole. La sua delicata banalità, graziosamente posata su un’interpretazione a tratti perfino interessante, alimenta fino all’ultimo la speranza che da tanto strascicato languore possa prima o poi sbocciare qualche gradevole sorpresa. Troppo tardi ci si rende conto che, invece, quella sostanza rarefatta, insistentemente pronunciata a fior di labbra, è solo la prolissa anticipazione del ruzzolone finale in cui impietosamente incorre la sceneggiatura. Il passaggio alla regia di Marcio Garcia, popolare attore brasiliano di telenovelas, reca l’impronta compiaciuta del romanzo sentimentale concepito per protrarsi indefinitamente nel tempo,  creando aspettative che puntano in eterno verso il nulla, mantenendo viva una tensione talmente incolore ed uniforme da poter passare, del tutto indisturbata, attraverso una lunga serie di stacchi pubblicitari. Il compimento del senso, costantemente rinviato, è il momento che si fa attendere all’infinito mentre la storia si muove raminga tra discorsi  a vuoto, luoghi comuni, e maldestri tentativi di inserire qualche vago accento introspettivo o qualche arcano sottinteso a sfondo psicologico. La vicenda di Angie, giovane pittrice brasiliana che si trasferisce negli Stati Uniti per condurre un’esistenza nomade, è un lento zigzagare tra situazioni scollegate che non pongono domande né forniscono risposte, non sono le tappe di alcunché, però danno inspiegabilmente  origine a svolte decisive: bruschi cambiamenti di rotta che sembrano più che altro dettati dalla necessità di far convergere verso il lieto fine un racconto il quale, per un bel po’, ama pascersi nella propria natura sfilacciata ed indecisa. Amore sì, amore no. Il contrasto tra libertà e felicità. Il difficile rapporto tra un futuro incerto ed un passato sconosciuto. Sotto le nobili etichette di questi epocali dilemmi si celano, purtroppo, soltanto immaturi tentennamenti privi di riflessione, che rimangono a lungo pudicamente sommersi, per poi rivelarsi, d’un colpo, in tutta la loro favolistica pochezza. Nonostante le sua sfacciata superficialità, questo pasticciato road movie in salsa Harmony si sente ingenuamente in dovere di pagare un tributo al realismo sociale di casa sua; a ciò provvede, un po’ a denti stretti, con sparuti riferimenti “crudi”, però sempre bonariamente velati di manierismo bohémien. Fatta salva l’incantevole naturalezza dell’attrice principale, Camilla Belle, questo film ci tiene inutilmente in sospeso, senza avere in effetti niente da offrirci. Non una suggestione, non un’idea, che non siano le ombre scolorite di cliché ben noti, a metà strada tra le avventure da libro Cuore e le derive individualiste dell’arte contemporanea. Se il percorso è sbavato e tortuoso, il traguardo è futile e maledettamente scontato.

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