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I fotografia

Regia di Nikos Papatakis vedi scheda film

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La recensione su I fotografia

di OGM
8 stelle

L’utopia è una crudele menzogna, un vero specchietto per le allodole delle ideologie. Gli esempi, nella storia, sono molteplici e ben noti. Perché, allora, per una volta, non lasciare sullo sfondo la politica, la crisi di un Paese che da anni insegue invano il suo sogno di libertà, e spostare tutto  sul piano individuale, dando vita ad un racconto in cui il dramma dell’illusione è vissuto in prima persona? Nasce forse così, nella mente di Nikos Papatakis, l’idea di I fotografia: una commedia amara costruita, come tante, su un equivoco: ma un equivoco che si identifica con un sogno, ed è in grado, da solo, di creare un’intera storia, carica di emozioni, dubbi, aspettative. Nel 1971, nella Grecia soggetta alla dittatura dei colonnelli, Elias Apostolou è un giovane disoccupato, costretto, come tanti suoi connazionali, a cercare fortuna all’estero. La meta della sua emigrazione è la Francia, dove Gerasimos Tsivas, un parente della madre, trasferitosi lì diversi anni prima, gestisce una piccola manifattura di pellicce. Basterebbe che Elias gli chiedesse di essere assunto come apprendista, e la vicenda si concluderebbe rapidamente, e nel migliore dei modi, ma purtroppo interviene, a complicare le cose, qualche inconveniente di contorno. In primo luogo, la triste notizia che il ragazzo deve comunicare all’uomo: i suoi genitori sono morti da tempo, e qualcuno, da allora, ha regolarmente intascato i soldi da lui inviati per il loro sostentamento. In secondo luogo, l’infondata speranza che la fotografia di una famosa cantante, che Elias ha raccolto per strada e portato con sé in viaggio, accende nel cuore di Gerasimos. Questi si invaghisce a prima vista di quell’immagine, che Elias dice appartenere ad una sua sorella, in realtà inesistente. L’esistenza di quell’uomo cambia da un giorno all’altro, a causa dell’arrivo, simultaneo ed improvviso, del dolore e della gioia.  Intanto il ragazzo si trova a dover gestire una finzione, intorno alla quale l’ignaro Gerasimos ha cominciato subito a fare concreti progetti di matrimonio. Mentire e credere sono i ruoli complementari di un gioco difficile e pericoloso, che corrompe gli animi di entrambe le parti, intossicandoli con l’ebbrezza del potere o il delirio della felicità, anche solo immaginata. Voler dominare o lasciarsi dominare sono i due risvolti antinomici della solitudine, che cerca il completamento attraverso la dipendenza, inflitta o subita: una condizione in cui si scivola inconsciamente, ma alla quale ben presto risulta impossibile sottrarsi. È un meccanismo automatico, che procede da solo, eppure segue il percorso finemente frastagliato dell’evoluzione del sentimento e della maturazione della coscienza. Si diviene schiavi poco a poco, in maniera indolore, e magari persino avvincente, ma il paradosso di fondo impedisce che il cerchio si chiuda. Venire al dunque significherebbe scoprire quella contraddizione: la conquista della chiarezza non può che risolversi nella rivolta, oppure nella repressione. Così è per tutti i regimi, quando, per qualche motivo, il precario accordo tra i governanti e il popolo salta.  E così è anche per Elias e Gerasimos, un burattinaio ed il suo burattino, impegnati nel penoso spettacolo della falsità, nel quale la tragedia è preceduta da una lunga fase di indicibile imbarazzo.  L’origine di tutto è una fotografia: un’icona anonima, a cui ognuno dà il significato che più gli fa comodo. È malleabile e provvisoria come quelle insegne propagandistiche che qualcuno ha fatto affiggere e poi ritirare, mostrando la stessa ciclica noncuranza, nemica della memoria, con cui la gente scrive e cancella le frasi sui muri.

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