Espandi menu
cerca
Turbo Time

Regia di James Davies (Antonio Climati) vedi scheda film

Recensioni

L'autore

maso

maso

Iscritto dall'11 giugno 2009 Vai al suo profilo
  • Seguaci 179
  • Post 3
  • Recensioni 832
  • Playlist 186
Mandagli un messaggio
Messaggio inviato!
Messaggio inviato!
chiudi

La recensione su Turbo Time

di maso
6 stelle

Direttamente dalle evoluzioni sulle dune sabbiose che concludevano un documento cinematografico sulle corse impreziosito da una superstar dei film come Steve McQueen al resoconto filmato di un’epoca che si è chiusa all’ultima curva percorsa da un mito delle gare automobilistiche come Gilles Villeneuve.

“Turbo time” comincia dove “On any sunday” finisce: il più famoso documentario sui motori degli anni settanta che vedeva fra i suoi interpreti Steve McQueen nel ruolo di se stesso a cavallo di una moto si concludeva proprio con il vecchio Steve e i due campioni David Evans e Malcom Smith liberi di rincorrersi sulle loro moto da cross sotto il sole rovente di un imprecisato deserto e da quello stesso sole sembra sorgere il film assemblato da James Davies che comincia appunto con le riprese dall’alto di tre sconosciuti centauri che sembrano aver raccolto il testimone di McQueen e compagni, quel documentario così innocente dal punto di vista formale è aggiornato di circa dieci anni in questo suo ideale sequel nel quale vengono esplorati in maniera più o meno approfondita, a seconda del richiamo della disciplina in esame, tutte le sfaccettature del mondo dei motori e della gente che popola i circuiti.

I contenuti di “Turbo time” sono più aspri rispetto all’atmosfera sognante del suo predecessore perché in questi anni che portano al drammatico 1983 l’ambizione di condurre i bolidi a due e quattro ruote al massimo non era supportata ancora da un adeguato sistema di sicurezza sopra ed intorno al mezzo tanto che avvennero molti incidenti a piloti famosi e non documentati con puntuale e inevitabile cinismo durante lo svolgersi di questo film un po appesantito da una struttura abbastanza grossolana e non assemblata in adeguati scomparti, di conseguenza si salta da una categoria all’altra   senza un collegamento plausibile se non quello del rombo di un motore, la sua forza sta nelle belle immagini di repertorio e nelle voci di alcuni personaggi storici di quel periodo come in nostri super campioni della classe 500 Lucchinelli e Uncini, iridati nell’81 il primo e nell’82 il secondo, per chi non lo sapesse fino all’avvento di Valentino Rossi resteranno queste le nostre ultime vittorie nella massima categoria mondiale dominata fino alla fine del secolo da statunitensi e australiani. Le voci di questi due campioni ci spiegano un po cosa significa dover correre a questi livelli e quali sacrifici bisogna sottomettersi: “Non vado in vacanza dal 76!” dice Lucchinelli, “Non mi posso muovere perché mi possono chiamare per i test da un momento all’altro!” ribatte Uncini, l’off-shore fa capolino nel film per un breve tratto dato che si parla di vacanze e poi si ritorna a tutto gas sulle piste dal camera cart del marziano Kenny Roberts il vero fenomeno di quegli anni che ebbe il coraggio di non partecipare al famigerato tourist trophy, una gara famosa per le sue numerose vittime che si svolge all’isola di Mann fra marciapiedi e spigoli sporgenti come linee di demarcazione del tracciato, la musica si fa più cupa e ci viene introdotto con velato terrore lo spauracchio dell’incidente fatale che aleggia su ogni pilota e sinistramente sul film in questione.

Le quattro ruote della F1 entrano in scena, Andrea de Cesaris su Alfa Romeo  esplode in lacrime…..di gioia per una pole che però verrà vanificata da un brutto incidente da cui esce illeso ed arrabbiato, è qui che il film comincia a spettacolarizzarsi un pò con gli incidenti che in quegli anni sono disumani: le vetture si disintegrano sotto gli occhi della gente e ci si sente colpevoli per voler vedere chi l’ha scampata e chi no, c’è chi dice che le auto siano meno pericolose delle moto e viceversa ma in realtà ogni cosa ha i suoi pro ed i suoi contro perché volare via a 250 all’ora significa rischiare di rompersi tutte le ossa come un manichino lanciato dal 5° piano ma è altrettanto rischioso restare intrappolato in quella gabbia di fuoco e lamiere contorte che un auto può diventare dopo uno schianto soprattutto in quegli anni in cui la gestione dei serbatoi e dei carburanti era molto inappropriata e si usavano le ultratossiche maschere di amianto, anche il capitolo carburanti è ben documentato con riprese di piloti che sembrano indemoniati a causa delle fiamme invisibili dei combustibili nelle competizioni americane, al di la di tutto però è sempre l’alta velocità che miete le sue vittime e a volte sembra incredibile vedere piloti uscire illesi da macchine frantumate in mille pezzi come nell’impressionante cappottamento avvenuto in F2 a Manfred Winchelock.

C’è spazio anche per categorie meno famose come lo speed-way e il motocross per bambini con genitori scatenati a bordo pista ma chi merita più attenzione sono gli adulti ed in particolare Bob Hannah nel cross indoor e soprattutto le splendite sequenze della categoria Enduro fra deserti e savane.                                    

Il pezzo forte sono sempre loro però, gli spericolati della F1 e della classe 500: Lucchinelli e Uncini ci raccontano un po della loro infanzia e le motivazioni che li hanno portati ad intraprendere questa strada o pista se preferite e si argomenta su un quesito che da sempre si pone ad un campione: si può passare dalle due alle quattro ruote o dalle quattro alle due? C’è chi ci ha provato con scarsissimi risultati e stiamo parlando del più grande motociclista di sempre cioè Giacomo Agostini e chi non ne ha mai voluto sapere pur essendo considerato un campionissimo come Niki Lauda che dichiara: “Non ho mai avuto interesse per le moto, il rischio di caduta è troppo alto, fin da piccolo ho sempre amato le auto da corsa e rimarrò sempre al volante delle mie auto!”.           

Il pilota è anche oggetto del desiderio delle belle donne: lo scorcio di Uncini che posa da campione del mondo a fianco della sua Suzuki ed una mora all natural tutta italiana disinvolta nel mostrare tutta la potenza della sua bella turbina e la solidità del retrotreno mi riporta a quei primi anni ottanta in cui c’erano questi rotocalchi che associavano l’alta velocità e la sessualità, chi sa se li fanno ancora?  Perché andavano così tanto di moda?

Forse perché il pilota da sempre esercita il fascino di chi sfida la morte ed il pericolo ogni volta che monta sul suo bolide non certo perché deve fare una parata di bellezza ma perché deve arrivare davanti a tutti ed essere il più veloce, purtroppo il rischio di cadere ed il margine di errore sono inversamente proporzionali, l’idolo di Lucchinelli era Jarno Saarinen che se ne andò prestissimo pur rivoluzionando il modo di guidare con il suo ginocchio posto come un alettone, Franco Uncini fu protagonista proprio nel 1983 di un bruttissimo incidente che non avrà conseguenze di alcun tipo sulla sua salute ma lo terrà in coma per alcune settimane.

Il capitolo finale di “Turbo Time” non poteva che dare spazio al pilota più amato ancora oggi dai ferraristi, il canadese Gilles Villeneuve deceduto in un incidente imprevedibile e spettacolare proprio come era lui in pista avvenuto all’ultimo giro di prova in Belgio, la sua storia ed il doveroso commiato del suo ex compagno di scuderia Jody Shakter commuovono ancora oggi tanto quanto una frase emblematica di Lucchinelli: “Villeneuve aveva un pò il mio modo di guidare, aveva talmente tanta voglia di vincere che spesso la sua irruenza lo portava a perdere finendo la sua gara con un incidente clamoroso ma quando ciò avveniva spegnevo il televisore perché la gara perdeva tutto il suo interesse”.

Non è un film per tutti i gusti e potrebbe anche risultare noioso agli amanti della velocità ma quanta nostalgia per quegli anni così spericolati e quei campioni così umani e vulnerabili in cui mi immedesimavo pur non avendo neanche un motorino e pur essendo andato al cinema a vedere il film perché il mio compagno di banco alle elementari era un fanatico di motori su influenza paterna, non lo vedevo da circa 30 anni ma l'incidente incredibile di Winchelock e quella bella mora tutta nuda a quattro zampe ai piedi di Uncini non li avevo mai dimenticati e sapete perchè? Perchè come diceva Freddie Mercury in una canzone - Pain is so close to pleasure - Il dolore è vicinissimo al piacere -.

Ti è stata utile questa recensione? Utile per Per te?

Commenta

Avatar utente

Per poter commentare occorre aver fatto login.
Se non sei ancora iscritto Registrati