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La scelta di Barbara

Regia di Christian Petzold vedi scheda film

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La recensione su La scelta di Barbara

di alan smithee
6 stelle

Il titolo italiano focalizza (troppo probabilmente) l'attenzione su quella che è effettivamente la svolta cruciale nella vicenda del film, la sintesi di un dramma umano che deriva da una situazione politica in un'Europa di solo pochi decenni orsono (il tempo della Guerra Fredda, dell'antitesi Usa/Urss, delle due Germanie divise ed ognuna in mano ad un mondo contrapposto, L'Ovest contro l'Est per due concezioni politiche, economiche e sociali completamente inconciliabili) ma per fortuna distante anni luce dal continente dei nostri giorni: un territorio disastrato ora forse anche di più di prima se vogliamo, ma per altri motivi, o forse per motivi opposti, per quell'eccesso di libertà che ha portato negli ultimi decenni i pochi più furbi a sopraffare la massa dei deboli, e di conseguenza in una situazione di fatto - libertà e diritti civili a parte -  non molto diversa da quella del trentennio precedente, dove invece che abusare della democrazia i pochi furbi nascevano e si arricchivano dalla mancanza totale di essa, sostituita da una politica dell'oppressione e della sopraffazione degli ideali.
Di fatto l'ideale della bella e bionda dottoressa Barbara (Nina Hoss, clone di quella sexy atletica Sidney Rome che in quegli stessi anni '80 impazzava o faceva impazzire casalinghe e non con scatenate lezioni di aerobica in videocassetta) sarebbe quello di raggiungere a Berlino Ovest il suo innamorato. Peccato che la sua domanda per un regolare trasferimento si trasformi nel motivo per affliggerle una solenne ufficiale punizione: verrà infatti relegata a lavorare in un piccolo ospedale di una cittadina di campagna: un confino dove potrà essere meglio sorvegliata e dove incontrerà uno scrupoloso medico, destinatario pure lui di una vigilanza speciale per quel suo simpatizzare verso interessi e argomenti progressisti dannosi o vietati dal regime.
Gli spunti (e gli ingredienti) per ripetere il felice esito di un dramma-thriller serio ed incalzante come il premiatissimo eccellente "Le vite degli altri" di qualche anno fa, ci sono quasi tutti. Solo che qui il regista Christian Petzold sceglie (magari pure coraggiosamente) la carta di uno stile sottotono, che si concentra più sui volto e gli atteggiamenti dei singoli protagonisti, alla cui espressività viene affidato il compito un po' arduo e troppo gravoso di accollarsi significati troppo estesi o situazioni non rappresentate, svilendo così coscientemente una storia che in tal modo viene un po' mortificata da un ritmo blando e soffocato, oltre che da una fotografia piatta da telefilm (tedesco).
Il risultato a mio avviso è meno convincente, nel suo complesso, di quanto potrebbe risultare dalla somma dei suoi pregevoli addendi: tra questi ultimi sono da segnalare i due interpreti prima di tutto (Nina Hoss in particolare, volto caro e ricorrente nella cinamatografia poco nota, almeno da noi, del regista, e nome che ci piacerebbe ritrovare per affrancare certe positive idee che c siamo fatti sulla seducente attrice) ed un regista ambizioso, ma dal taglio tutt'altro che personale, che sceglie come dicevamo un percorso meno scontato, togliendo tuttavia troppo al film, semplificando o meglio appiattendo un pò troppo una vicenda che avrebbe meritato un ritmo almeno solo un poco più incalzante e sostenuto, anche a costo di scalfire un po' della sua orgogliosa originalità.

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