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A Royal Weekend

Regia di Roger Michell vedi scheda film

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alan smithee

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La recensione su A Royal Weekend

di alan smithee
6 stelle

L’occasione per raccontarci una visita di stato cruciale camuffata da bizzarro incontro (il primo nella storia) tra i Regnanti inglesi e il Presidente Usa, era sulla carta piuttosto interessante; ancor di più pensando ad un Bill Murray sempre validamente sofisticato, sottilmente sfaccettato, ironico, brillante ma pacato, nei panni dell’ironico e fisicamente sconquassato presidente Roosevelt; e non meno alla splendida Laura Linney in quelli di una sua lontana timida e dimessa cugina, accorsa a rendergli servizio su espressa richiesta dell’uomo di Stato, devota ma per nulla passiva ed in grado di far nascere con lo statista latin lover volpone e smaliziato, una intensa e particolare storia affettiva, tenera e non scontata come le altre avventure di cui si circondava il politico.

Uomo bizzarro e singolare questo Roosevelt, fisico minato da una polio giovanile che lo ha costretto progressivamente alla semiparalisi, ma spirito combattivo e allegro che è sempre riuscito a minimizzare la sua infermità e a far considerare con rispetto questo suo scomposto incedere, anche dai più agguerriti fotografi d’assalto senza remore, fino quasi ad attenuare questo suo pesante handicap con atteggiamenti disinvolti e compagnoni dall’effetto depistante.

Un disagio fisico che quasi allevia le preoccupazioni ed i tentennamenti del regnante inglese, l’eterno impacciato e balbuziente re Giorgio VI, padre della attuale Elisabetta, che raffrontando il suo pur imbarazzante limite espositivo orale, pare rasserenarsi una volta inevitabilmente accostato al ben più limitante disagio fisico del suo pur disinvolto padrone di casa.

Roger Mitchell, regista medio e nulla più, ma senza dubbio poliedrico, versatile e dalle buone intenzioni (The mother e L'amore folle non erano affatto male!), ha la originale intuizione di far emergere in questo incontro epocale - organizzato eccentricamente nella dimora personale della famiglia Roosevelt e cadenzato dai bizzarri appuntamenti “indigeni” organizzati da una sciroccata ed originale first lady Olivia Williams - le diversità caratteriali di due persone, e dunque inesorabilmente di due coppie di “regnanti” che rispecchiano quelle di due popoli per molto aspetti così consanguinei, ma così caratterialmente differenti: espansivo, caciarone e casinaro quello a stelle e strisce tanto quanto appare orgoglioso, attento all’etichetta e un po’ snob quello anglosassone, invero bisognoso più che mai di aiuto nonostante la diffidenza e la puzza sotto il naso malcelata e imposta da una etichetta che non accetta condizionamenti neanche nei momenti di bisogno.

Un re, quello inglese, ultimamente molto preso di mira cinematograficamente (“Il discorso del re”di Hooper, l’ultimo di Madonna "W.E."), grazie evidentemente ad una storia che piace ed attrae personalità di cinema e pubblico.

Un uomo insicuro chiamato a sorpresa a ricoprire un ruolo istituzionale troppo pesante per la sua fragile personalità, oltretutto nel periodo più cruciale per i destini d’Europa degli anni Trenta; la decisione per nulla scontata di intraprendere un viaggio a suo modo epocale oltre oceano per elemosinare un aiuto che riesca a far uscire dall’isolamento sempre più incombente il Regno Unito oppresso dalla minaccia nazista e dei suoi alleati, è in ogni particolare tenuta celata, soprattutto dal carattere diffidente ed altezzoso di una regina pure lei un po’ improvvisata, ma che cerca in ogni modo di supplire le insicurezze di un marito debole ma insieme molto umano e non ridurre agli occhi del mondo il marito come una copia sbiadita del dinamico ed accattivante fratello maggiore, dimissionario per amore come tutti ormai sappiamo.

Tutto ciò emerge bene nel film, così come sono trascinanti, come da previsione, le interpretazioni di Bill Murray, gatto sornione costretto e circondato dalla presenza di donne che è convinto di dominare, ma che invece subisce provandone tuttavia un sottile, intenso ed appagante giovamento, e della radiosa, nostalgica e “cerbiatta” Laura Linney, zitella insicura ma determinata che diventa, quasi contro ogni previsione più verosimile, la complice lavorativa e soprattutto affettiva più intima del singolare uomo di stato.

Quello che non va a mio giudizio - e che invece non succedeva ad esempio nel più debole degli altri film recenti dedicati al sovrano inglese balbuziente, cioè il film di Madonna - è la scelta di affogare tutto nella naftalina di una ambientazione d’epoca calligrafica e pedante, manierata e inevitabilmente faziosa che crea una sensazione di soffocamento e d’aria viziata, tarpando ogni volta le ali a tutti i tentativi di volo apprezzabili e graditi intrapresi da un cast così maturo e azzeccato, che oltre ai già citati grandi interpreti comprende pure Samuel West e Olivia Colman   nel ruolo dei fragili ed inesperti, ma per nulla arrendevoli coniugi regnanti britannici.

 

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