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Upside Down

Regia di Juan Diego Solanas vedi scheda film

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La recensione su Upside Down

di M Valdemar
4 stelle


I’m living the darkside upside down
Laughing at my disaster
Upside down, upside down
Upside down, upside down

[Upsidedown, dall’album Dark Adrenaline - Lacuna Coil]

Per bocca del suo protagonista, Adam (Jim Sturgess), che narra gli avvenimenti, si tratta innanzitutto di una storia d’amore. In sostanza, un escamotage antico e di sicuro effetto per rifuggire dall’asfittica costruzione del contesto, l’ennesima variante di un universo parallelo distopico che tanto attinge dal - e parla del - nostro.
La metafora - o meglio: l’insieme caotico delle metafore - è così evidente e petulante che nemmeno ci si fa caso: c’era bisogno di andare così “lontano” per fare della facile - ancorché certo non infondata - retorica?
Il sopra e il sotto, il nord e il sud, la nobiltà e la plebe, l’arroganza dei ricchi e la miseria dei disgraziati: questione di prospettive, di gravità opposte che schiacciano, imprigionano ognuno alla propria dimensione d’appartenenza; finché un piccolo, produttivo, quasi “magico”, fattore s’intromette e scombina le cose.
Si cambino pure i nomi, si utilizzino figure allegoriche apparentemente nuove, si ammanti la superficie levigata di ruvidezze fantascientifiche, si annuvoli l’atmosfera di meraviglie (digitali) e sarabande capovolgenti e vorticanti: l’elaborazione concettuale e visiva non regge granché, pare lasciata a mollo nel caso autorisolvente ed esser frutto di sedute sbrigative e sonnecchianti.
Insomma, un addensare soluzioni  e proposte estetiche solo per brevi tratti interessanti e uno sbrodolare fatti ed antefatti perlopiù evanescenti, sfuggenti (la sceneggiatura zoppica in più punti), il cui risultato è una visione non molto convincente, che oltretutto poco affascina ed appassiona.
Perché poi, ovviamente, c’è il cammino dei due innamorati - avversati dal destino, dalle forze uguali e contrarie che li legano alle rispettive terre, dagli immancabili cattivoni poco furbi - a salvare l’opprimente sistema.
Già, l’amore: come resistere all’imperituro, poetico, indistruttibile incanto del sentimento per eccellenza che può superare qualsiasi ostacolo, spostare confini, far crollare l’invalicabile muro di convinzioni e convenzioni, abbattere le barriere della fisica e della natura, e far sperare in un mondo migliore?
Nel caso di Upside Down si può, si resiste, e con una certa scioltezza: più che per cinismo, che in buona parte dipende dal momento e dal soggetto, a non far capitolare nel maelstrom della mellifluità contribuiscono sia l’algidità dei due piccioncini, la loro altalenante alchimia (la dolce metà del perennemente spettinato e “struggito” Sturgess è Kirsten Dunst, in evidente stato di svagatezza) - che riflette in un certo senso la freddezza/indifferenza della messa in scena -, sia l’artificiosità degli accadimenti che li vede (parrebbe quasi loro malgrado) al centro della storia.
Sul cui finire, raccontato per sommi capi, s’intravede quel futuro migliore sempre auspicato. Un po’ come tutto il resto, il finale pare tirato via, sbattuto lì in maniera frettolosa, appiccicato a una lieta risoluzione forse per non disturbare più di tanto le frequenze emozionali.
Dopotutto, finito di giochicchiare con le leggi della fisica e con gli umori della psicologia elementare, le cose tornano alla loro naturale collocazione, sottomesse al peso della banale, quotidiana gravità.

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