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Dirty Girl

Regia di Abe Sylvia vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Dirty Girl

di darkglobe
8 stelle

Il road trip della maturità di Danielle e Clarke

“I misteri del cinema!” verrebbe da affermare guardando questo film, perché nulla lascia comprendere il motivo per il quale si sia trattato di un clamoroso fiasco commerciale. Dirty Girl, diretto da Abe Sylvia, nasce da un lontano progetto dello stesso regista realizzato quando era studente all’Università della California di Los Angeles nel quale, come sua prima esperienza di sceneggiatura, raccontava cosa significasse crescere nell’Oklahoma degli anni 80. Il background di Sylvia, ex ballerino di Broadway, trova in quest’opera ampio riscontro, data la generosa colonna sonora tutta ispirata a cult degli anni ‘80 e ‘90 sulla quale si innesta una storia all’apparenza scolastica ma in realtà umana, che oscilla tra l’irriverente, il comico ed il drammatico, con toni però mai inutilmente eccessivi. Da questo punto di vista pare un prodotto che si discosta in maniera piuttosto netta dall’ordinaria piattezza di tanti teen-movies, che spesso appaiono eccessivamente focalizzati su un genere dominante e nei quali non sembra mai trovare spazio quella indissolubilità, qui ben rappresentata, di momenti di riflessione, allegria, tensione e tragicità propri della vita reale.

Il film è ambientato nel 1987 e la protagonista femminile, Danielle Edmondston (Juno Temple) è una ragazza sfacciata, avvenente, verbalmente sguaiata e sessualmente promiscua (ragazza volgare suggerisce il titolo) che frequenta la Norman High School. Dopo la sua ennesima provocazione - ad un professore che suggerisce “astinenza” lei chiede cosa ne pensi del “coito interrotto” - finisce dal preside dell’istituto scolastico che, per ricondurla a più miti consigli, la spedisce in una classe di riabilitazione (definita dagli studenti dei “ritardati”), dove la professoressa Hatcher sta allestendo coppie di studenti perché si occupino per 6 settimane di un sacchetto di farina ciascuno, come fosse un figlio appena nato, per comprendere cosa comporti essere genitori e raccontar la crescita del neonato su un diario. Danielle viene abbinata a Clarke Walters (Jeremy Dozier), introverso ed obeso ragazzo gay, vessato dal padre Joseph (Dwight Yoakam), un violento omofobo il quale, oltre a tenerlo in cura da un chiropratico incapace di comprenderne il dramma interiore, minaccia continuamente di spedirlo alla scuola militare per “raddrizzarlo”.
Danielle nutre un incontenibile disprezzo per la madre Sue-Ann (Milla Jovovich), che insulta continuamente e di cui emula quasi a dispetto le medesime scorribande scolastiche con i ragazzi (“era una troietta quando era al liceo”); implicitamente la considera la causa della dipartita del padre che non ha mai potuto conoscere. D’altro canto Sue-Ann vorrebbe sistemarsi con Ray (William H. Macy) un Mormone un po’ fanatico con tanto di prole al seguito, con cui ovviamente Danielle non ha alcuna intenzione di costruire una famiglia allargata.
La ragazza tratta in maniera sprezzante anche Clarke, appellandolo ripetutamente come finocchio e rivolgendosi a lui con linguaggio aggressivo e scurrile; ma decide nonostante tutto di portare avanti insieme a lui il progetto scolastico, con il pieno apprezzamento del padre di Clarke, al quale la ragazza lascia maliziosamente intendere che loro due stiano insieme, al punto che lo stesso, finalmente soddisfatto della mascolinità del figlio, gli presta la propria carta di credito per portare a cena la neo-fidanzata.
Quando Sue-Ann parte col compagno, lasciando sola la figlia in casa, senza soldi ed auto, per farle comprendere, come suggerisce Ray, cosa significhi vivere priva di una famiglia, la ragazza ne approfitta per mostrare a Clarke l’annuario scolastico della madre dal quale lo stesso Clarke riesce ad individuare l’identità del padre di Danielle, un assistente coach di nome Danny Briggs (Tim McGraw), consentendole così di scoprire che risiede a Fresno in California e di progettare di raggiungerlo per conoscerlo ed andare a vivere da lui. Danielle si vede però costretta a chiedere a Clarke di accompagnarla in viaggio, prendendo in prestito la Cadillac venerata da Joseph; Clarke inizialmente è reticente, ma dopo che i suoi familiari scoprono alcune sue foto di uomini nudi, nonostante la povera madre Peggy (Mary Steenburgen) avesse tentato di farne sparire le tracce, corre via con l'auto del padre e scatta la avventurosa fuga dei due adolescenti.
Inizia un road trip fatto di gioia, complicità, canzoni, confidenze, momenti esilaranti e perfino conoscenza di uno spogliarellista di nome Joel (Nicholas D'Agosto) che Danielle convince una notte ad esibirsi sulla ballata Your Love dei The Outfield, consentendo di far vivere a Clarke la sua prima esperienza sessuale, ricambiandogli così il favore ricevuto.
Lungo il viaggio la Cadillac va in panne ed i due, a corto di soldi e con la carta di credito bloccata dal padre di Clarke, finiscono in un locale in cui, per racimolare soldi, Danielle partecipa ad una gara di spogliarellisti al suono di Strut di Sheena Easton, salvo scoprire, tra i fischi del pubblico, che il locale è frequentato da omosessuali: è Clarke a quel punto a salire sul palco tra le ovazioni degli astanti, tra i quali c’è però anche Joseph, appena entrato nel locale, che, avvertito dalle forze dell’ordine, era venuto a recuperare la amata Cadillac. Clarke a quel punto litiga in auto col padre, dichiarando in maniera aperta e sfacciata la propria omosessualità ed offre a Danielle, pur dispiaciuta di lasciarlo solo, l’opportunità di fuggire in autobus verso Freno.
Arrivata a destinazione la ragazza trova ad aspettarla la madre e Peggy, venute là insieme per recuperare i propri figli. Nonostante le resistenze di Sue-Ann, Danielle riesce ad entrare in casa e ad incontrare suo padre – il momento più drammatico dell’intero film - scoprendo che, oltre ad essere sposato, ha anche una figlia piccola e soprattutto che non sapeva della sua esistenza perché convinto che Sue-Ann si fosse sbarazzata di lei quando era incinta.
Sconvolta dalla freddezza paterna, Danielle si riavvicina alla madre e torna a casa, apprendendo nel seguito che Clarke è stato mandato alla scuola militare e che i suoi genitori si sono separati. La ragazza ha ormai imparato che “bisogna accettare quello che offre la vita, ma solo dopo una bella lotta per capire di cosa si è fatti” ed esprime in classe, per bocca del sacchetto di farina, il bisogno di rivedere il suo amico Clarke. Si iscrive poi al talent show scolastico “per cercare di essere una persona più ordinaria”, proprio come Clarke aveva espresso di desiderare in coppia con lei, e là canta Do not cry out loud di Melissa Manchester, la singer prediletta dallo stesso Clarke il quale irrompe a sorpresa in scena vestito da militare per duettare con l'ex ragazza volgare.

Di fatto questo film è pieno zeppo di ispirazioni autobiografiche del regista ed appare agli occhi dello spettatore come una pura ed evidente elegia del mondo femminile, delle donne forti e schiette che non hanno paura di affrontare il mondo, che “hanno il controllo”, che sanno esprimere con divertimento la propria gioia di vivere e che nel contempo dimostrano una adorabile e raffinata fragilità dei sentimenti, ben nascosti a volte dietro il loro scenico fragore. Di contro le figure maschili ne escono abbastanza a pezzi, tra l’omofobia derivante da una retrograda sottocultura (Joseph), il fanatismo religioso prossimo all’ottusità (Ray) ed il gretto egoismo di una patinata vita medio-borghese (Danny), con il corollario di giovani studenti il cui unico ruolo pare relegato a quello di anonime macchine per soddisfare le voglie di Danielle. Le madri escono invece vittoriose: da un lato una sentimentalmente generosa Sue-Ann che ha sacrificato il proprio futuro per la figlia e tenta in ogni modo di riavvicinarla a sé, alla ricerca di una complicità persa da tempo; dall’altra quella di Peggy, pronta a comprendere e ad accogliere Clarke e pienamente cosciente del fatto che i genitori, per quanti sforzi facciano per essere dei “bravi genitori”, finiscano inevitabilmente per sbagliare.

Danielle rappresenta per certi versi una ragazza iconica che da un lato esprime una sessualità dirompente e provocatoria e dall’altro sembra avere una visione lucida e spietata del mondo e delle stupidità umane. Per lei l’unico passatempo è “discriminare” tra i ragazzi, “designare” il prescelto e dopo essersela spassata “scaricarlo”. In quest’ottica, poiché Clarke “ciuccia piselli”, viene da lei considerato come “non qualificato”. Ma è emblematico il fatto che il legame di amicizia che progressivamente si instaura tra questi due difficili vite ed il loro perfetto abbinamento nasca da una situazione familiare complicata e segnata da una comune assenza paterna, fisica in un caso, morale nell’altro: lei è alla ricerca di un padre materialmente assente che non ha mai potuto conoscere (“sono sicura che mi ami nonostante non lo conosco”); lui vorrebbe fuggire da un padre tiranno che, per la sua moralità retrograda, è come se fosse emotivamente lontano dalla sua vita (“lui sarebbe più felice se non esistessi”).
Il legame di confidenza e complicità che si instaura tra Danielle e Clarke, in virtù della omosessualità di lui – ancora vergine - e della promiscuità di lei verso l’altro sesso, non potendo essere minato da pulsioni o attrazioni fisiche, è trasparente, sincero e leale e consente ai due di mettere a nudo le proprie esistenze e confrontarsi sulle proprie difficoltà di una adolescenza costringente nella quale non è concesso loro di “piangere ad alta voce”, come recita la canzone della Manchester. Tant’è che, mentre fuggono in auto, Danielle ci tiene a sottolineare a Clarke che il salto è stato finalmente compiuto; lui è “uscito allo scoperto” scappando “con la puttana della classe”; di contro Clarke ribatterà rabbioso, nel bel mezzo di una litigata, riconoscendo “di non aver più paura quando è vicina a lei” la persona più “incredibile e figa” che possa mai esistere.

Molto carina l’idea, nei momenti topici, di ascoltare i racconti fuori campo del sacchetto di farina, una bambina che i due studenti hanno chiamato Joan (con riferimento alla rock band Joan Jett & the Blackhearts), con il volto disegnato a pennarello che assume espressioni diverse in stile emoticon a seconda del proprio stato d’animo e delle situazioni vissute; i ragazzi la portano con sé lungo tutto il viaggio, scelta affettiva che mostra essenzialmente il loro bisogno di poter essere in una “vera famiglia”. Così per esempio quando scatta la fuga, Joan racconta: “sono super eccitata per la vacanza in famiglia, ho solo una settimana e già sto vedendo tutti i grandi panorami di questo grande paese”, sentimento che è in realtà l’anelito di libertà espresso dai suoi due “genitori a progetto” arrivando nel seguito a concludere di essere “convinta di avere la famiglia più felice che ci sia mai stata” salvo poi dover mestamente constatare nel finale, al suono di “Rainbird” di Melissa Manchester, che “Papà è andato via, come fanno a volte i papà, per far avverare i sogni della famiglia”, quando Clarke viene riportato a casa da Joseph.

La voglia finale di Danielle di una normalizzazione della propria esistenza lascia un po’ sorpresi e può tanto apparire come una dolorosa rassegnazione, legata in parte alla disillusione del sogno paterno, quanto, in positivo, una maturata consapevolezza che le scelte della vita vanno prese con maggiore ponderazione e che la relazione con il prossimo parte dall’accettazione dell’altro, nella sua a volte complicata diversità, tenendo conto che dietro ogni essere umano esistono storie non sempre banali. Il dolore come momento di crescita, quell'inevitabile dolore catartico e marcante a fuoco che l'atteggiamento protettivo di Sue-Ann aveva cercato di evitare a Danielle ma che prima o poi avrebbe presentato il conto.

 

Sulla Colonna Sonora si alternano generi diversi come raffigurazione un po’ in stile musical dell’indole o dei sentimenti dei personaggi: il rock di “Do you wanna touch me” di Joan Jett o la rabbiosa e un po' Free KittenDeceptacon” dei Le Tigre sottolinea la carica sessuale di Danielle quando prova ad adescare ragazzi; il country fa da sfondo alle figure genitoriali come “Delta Dawn” di Tanya Tucker nella scena in cui Sue-Ann studia comicamente un testo sui Mormoni o Elvira dei The Oak Ridge Boys in quella in cui il padre di Clarke lava libidinosamente la propria Cadillac; le sdolcinate canzoni di Melissa Manchester come “Singing from my soul” rallegrano Clarke nei suoi momenti bui e la frenetica I want Candy dei Bow Wow Wow ispira un ballo liberatorio dello stesso Clarke al quale si aggrega di nascosto la madre; o infine "Heaven is a place on earth" di Belinda Carlisle sottolinea l’emozione di Danielle davanti ad uno specchio di un motel, inscenando la sua imminente conoscenza col padre, seguita di lì a poco da un duetto canoro di Clarke e Danielle sulle note di Lovegirl di Teena Marie a testimonianza dell’ormai pieno e totale affiatamento raggiunto.

In sintesi un film sincero sulla formazione di due adolescenti, del quale solo una sbadata visione che non sia in grado di apprezzarne le infinite sfaccettature e sfumature può portare ad un sommario giudizio negativo.
In Italia il film non è stato mai distribuito, se ne può trovare copia per l'Home Video con sottotitoli in inglese o cercare in rete una sottotitolatura in italiano.

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