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La signorina Else

Regia di Paul Czinner vedi scheda film

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La recensione su La signorina Else

di EightAndHalf
9 stelle

Sinistro e gigantesco, il Cimon, sembra che voglia cadermi addosso! Nel cielo non una stella. L’aria è come champagne. E che profumo sale dai prati! Andrò a vivere in campagna. Sposerò un proprietario terriero e avrò tanti bambini. L’unico uomo con cui forse sarei stata felice è il dottor Froriep. Che belle le due serate che ho passato con lui, la prima da Kniep e la seconda, il giorno dopo, al Ballo degli Artisti. Come mai tutt’a un tratto è sparito… almeno per me? Forse a causa di papà? Probabilmente sì. Vorrei gridare forte il mio saluto all’aria prima di ritornare giù tra quella gentaglia. Ma a chi devo mandare il mio saluto? Sono sola, io, completamente sola. Nessuno può immaginare quanto sia straziante la mia solitudine. Ti saluto, mio amore! Chi? Ti saluto, mio sposo! Chi? Ti saluto mio amico! Chi?...Fred?...Neanche per idea. Be’, lascerò aperta la finestra. Se entra il fresco, pazienza. Spegnere la luce. Ecco, così. Ah già, la lettera. Bisogna che la porti con me, potrebbe servirmi. Il libro lo metto sul comodino, stanotte leggerò ancora qualche pagina di ‘Notre coeur’, qualsiasi cosa succeda. Buona sera, meravigliosa fanciulla nello specchio, conservi un buon ricordo di me, a più tardi…” (da La signorina Else, di Arthur Schnitzler)

 

 

Dimenticata e sottovalutata opera di Paul Czinner (detestata da Schnitzler che pure aveva avuto dei dubbi cedendo i diritti per la riduzione cinematografica), Fraulein Else è l’ultimo film muto del regista ungherese, interpretato dall’abilissima e bellissima Elisabeth Bergner che, specie nella seconda parte del lungometraggio, offre anima e corpo per uno dei ruoli più difficili mai interpretati, perché inquadrato in maniera precisa e splendidamente contraddittoria da uno degli autori europei più importanti del primo Novecento, proprio l’Arthur Schnitzler che scrisse della pellicola non appena ebbe modo di visionarla nel 1928: “L’inizio non male; l’ultimo quarto stupido e brutto. Ora capisco perché non mi hanno mai mandato la sceneggiatura. […] non solo è venuta fuori una completa idiozia, ma sono andate perdute anche molte opportunità per Elisabeth”. La prosa adottata dallo scrittore viennese per Fraulein Else era invero quanto di più distante potesse immaginarsi per la rappresentazione cinematografica, fatta com’era di uno stile fluviale da stream of consciousness in cui alla fragilità psicologica di Else e alla sveltezza naturale dei ragionamenti umani andava certamente aggiunta anche la labilità di un’età adolescenziale costretta, a causa degli eventi, a ottenere anzitempo un livello di maturità insperato e indesiderato, capace di assumere una totale consapevolezza del mondo in cui si trovava a vivere e della sua notevolissima solitudine.

 

 

La scelta compiuta da Czinner e Mayer è il frutto di quella che si potrebbe definire una negoziazione diegetica. Sul piano della narrazione il film è infatti strutturato secondo due modalità largamente divergenti. La prima parte, quasi esclusivamente incentrata sulla figura del padre che nel film si chiama Thalhoff, mira a ricostruire, avvalendosi di un narratore onnisciente e ubiquo, tutto quell’antefatto che, nella novella, apprendiamo tramite la lettera che Else riceve dalla madre, nel corso delle prime righe del testo; la seconda parte, gli ultimi quaranta minuti, focalizzano invece l’attenzione, anche se non completamente il punto di vista, sull’accadimento al centro del testo letterario, ossia la reazione di Else. Ne risultano in fin dei conti due film” (Matteo Galli)

 

 

Czinner, evidentemente incerto al momento della stesura della sceneggiatura, adotta dal punto di vista visivo uno stile che è fatto di climax e di crescendo continui. Dall’identificazione di spazio e di tempo (da Vienna  a St. Moritz, negli anni 20 delle crisi economiche mondiali) fino al cauto avvicinarsi alle questioni intime di Else, Czinner dimostra di saper giostrare con ampia consapevolezza dello strumento filmico un continuo rispondersi e corrispondersi di realismo vibrante - che mostra i luoghi e non disdegna certo sotterraneo sarcasmo cui è esclusa l’iniziale vivace innocenza della giovane Else – e di introspezione, più che psicologica, emotiva, quando all’inizio per sprazzi scorrono velocemente alcune immagini dei paesaggi che Else vede attraverso il finestrino del treno in corsa, espressione immediata e genuina dello stupore e della voglia “del nuovo” tipica di qualsiasi adolescente (oltretutto sembra che l’Else del film di Czinner sia ancora più giovane di quella del romanzo, anche se non è così ed è solo l’illusione data dall’incredibile capacità della Bergner di assumere i panni di una ragazza prima giovane e gaia e poi mesta e rassegnata, sempre sul filo dell’isteria ma sempre ricca di una fortissima dignità e forza d’animo).

 

 

[…] Elisabeth Bergner si è sforzata di conseguire un proprio stile filmico. Ma l’effetto sullo schermo era assai lontano dai grandi successi sul palcoscenico. Perché? Elisabeth Bergner non si offriva alla macchina da presa. […] Qui [in Fraulein Else, nda] si ravvisa una linea interpretativa, uno sviluppo che regge fino in fondo. La Bergner non si sottrae più alla macchina, sta al gioco e recita. Con fragilità, certo, in modo ipersensibile. Un po’ sottotono, si direbbe, con un ultimo vestigio di angoscia davanti alla parte nel disegnare questo profilo di fanciulla cesellato psicologicamente, esitando, ritraendosi, ma è proprio questa passività a conferire alla figura un che di velato, di lontano. Con cauti tratti parsimoniosi si prepara l’atmosfera della crisi erotica della sedicenne: il passaggio dall’entusiasmo sportivo al sogno angoscioso frutto di nevrosi, fino all’isteria […]. Un lento scivolare, un oscurarsi, uno spegnersi. Fraulein Else è la prima interpretazione filmica degna di tale nome di Elisabeth Bergner” (Hans Stahl, 1929)

 

 

Gli accorgimenti visivi che conciliano al loro interno sia realismo che puro scandaglio di un punto di vista si accumulano certo nella seconda parte, successiva a una presentazione lenta ma affascinante dei personaggi. Anzi, Czinner, che dal testo schnitzleriano si discosta non poco, arriva addirittura a proporre grande empatia (contraddittoria e problematica, comunque) con i genitori di Else, prima con il padre che riceve una lettera e trasforma gradualmente la posizione della sua testa da atto di lettura a sfogo disperato, poi con la madre, che perde più di un attimo per decidere se effettivamente spedire o meno la lettera - sovracitata nel brano del romanzo – alla figlia, vero oggetto fatale che costituirà il principale scarto (emotivo, narrativo, estetico) dell’intero film di Czinner.

 

 

(I momenti di esitazione dei genitori di Else, diversamente che nel libro, totalmente esclusi dalla narrazione, svolgono fondamentale importanza nella mise en scène di Czinner)

 

Infatti non appena Else legge la lettera, il film si trasforma. Se prima aveva lasciato spazio anche ad alcune immagini delle peregrinazioni di Else e di suo cugino Paul (insieme all’amante di Paul, Cissy), nella località di St. Moritz (e non a San Martino di Castrozza, come nel testo originario), rischiando l’effetto “cartolina”, evitato con la sagace inquadratura della fauna aristocratica che quella località la frequenta(va), dopo Czinner comincia a indugiare sul volto di Else, quello di una Bergner su cui scorrono  tante indecisioni quali sono quelle della giovane, “altera”, autoironica Else del libro. Impossibilitato certo il film a riprodurre il carattere fluviale della prosa schnitzleriana, esso riesce comunque ad affascinare con questa estrema situazione ossimorica: lo scrontro fra una fonte letteraria originaria logorroica e velocissima e un referente visuale cinematografico lento, contemplativo e soprattutto muto, privo insomma dello strumento della voice off che in qualche modo avrebbe potuto emulare maggiormente lo stile del racconto. Invece Fraulein Else diventa vera e propria esplorazione del mezzo filmico e delle sue possibilità, con delle conclusioni formali notevoli che deve aver visto Kubrick per girare alcuni dei suoi capolavori (e la vicinanza di Kubrick ai testi di Schnitzler non è certo un segreto).

 

La tensione crescente è direttamente proporzionale alla lenta metamorfosi della regia di Czinner. Le immagini “realistiche” di un ambiente cominciano anch’esse, lentamente, a trasformarsi nei tentennamenti di Else, frustrata dall’indecisione e dalla paura per il compito gravoso che la madre le dà, quello di parlare a quattr’occhi con un nobile amico di famiglia per chiedere un prestito, viste le terribili condizioni finanziarie in cui il padre, e per estensione l’intera famiglia, versano. E vanno a buon diritto all’interno di un’ideale antologia della storia del cinema le sequenze in cui Else deve decidersi a parlare con il signor Dorsday, fotogrammi di altissimo impatto emotivo in cui la Bergner insegue con fallimentari tentativi di mimesi e/o nascondimenti il suo futuro interlocutore, combattuta dalla timidezza, dal dovere familiare ma anche dalla voglia di ignorare tutto quanto e poter continuare a godersi la vacanza. Ora, è chiaro che alla modalità narrativa del romanzo breve Czinner non può far altro che sostituire una messa in scena attenta e spettacolare, dunque c’è solo da constatare con che strumenti egli la realizzi: e il risultato è straordinario. In campi lunghi che ricordano, a posteriori, gli indugi delle steadycam kubrickiane, Else va avanti e va indietro, si apposta, sbircia, si nasconde, cerca di coprirsi, tentenna, esita. Sono momenti di semplice e umile angoscia, cui corrispondono movimenti di macchina da presa sinuosi e quasi terrificanti, improvvisamente fatalisti e anche sottilmente ironici, panorami decorati di certosina cura per gli ambienti e gli sfarzi di una borghesia allo sfacelo, versione edulcorata ma non meno prepotentemente esibita di quel ceto mascherato che si dilettava in misteriosi riti e in agghiaccianti festini orgiastici nelle sequenze più belle di Eyes Wide Shut (non a caso, di schnitzleriana fattura).

 

 

(Il "pedinamento" di Else ai danni del signor Dorsday)

 

E nella sequenza più importante, quella della proposta indecente, Czinner si sofferma sui volti di Else, trasformati e lentamente deperiti in un deterioramento psicologico ed emotivo. Il volto sfiorisce, la sua faccia si trasforma, la prova attoriale di Elisabeth Bergner raggiunge il suo zenit. Abbattuta e confusa, senza saper bene cosa fare, decide per la scelta più assurda e distruttiva, apocalittico compromesso che nel romanzo diventa il mezzo fondamentale per lo smascheramento di un gruppo umano terribile e ipocrita, falso e perbenista, vendicativo e ricattatorio, in cui Else non può adattarsi e a cui, eroicamente, reagisce. Proprio la parte finale del romanzo è anche la parte più “cinematografica”: Else finge di essere svenuta tenendo gli occhi chiusi, e molti dei suoi cari e di coloro che la circondano si permettono di dire di lei le peggiori cose, alcuni con la sicurezza di non poter essere sentiti, altri con la sfacciataggine di volersi prendere una rivincita su un’Else nel libro ancora meno innocente che nel film, ma sempre vittima di un mondo, e in questo senso, finalmente, capace di privarsi di quel senso di inettitudine che caratterizzano tanti dei caratteri della letteratura novecentesca (pur a prezzo dell’incipiente nevrotica follia). Ed è la sequenza più cinematografica perché quella più giocata sul rapporto fra immagini e suoni, che Schnitzler notevolmente riporta su carta, e che il film nega a favore di un finale splendido, rigoroso, monumentale, in cui comunque nessuno riesce comunque salvo (esemplare una delle ultimi immagini, in cui la folla si accumula nel luogo dove si è verificato il misfatto, tutti si allontanano e una curiosa anziana signora apre la porta per guardare). Dunque sul senso del voyeurismo Czinner si interroga, tema che ben si presta alle morbosità represse del ceto aristocratico rappresentato: nella scena della proposta indecente, giocando tra pudore e audacia, Czinner allude alla nudità mostrando una piccola statua di Venere inquadrata come rivelazione finale, come luogo ultimo e fondamentale per un twist che nel prosieguo del film avrà dell’implacabile.

 

 

 

Insomma, Fraulein Else è un capolavoro dimenticato, permeato di una forza e di una passione che lo spettatore facilmente sente sulla propria pelle. Ottimi i recenti lavori di restauro sulla pellicola, e notevoli gli accorgimenti musicali dei Marlene Kuntz che hanno portato l’opera di Czinner in giro per occasioni cinematografiche in tutta Europa durante la fine del primo decennio del 2000.

 

 

Visto da qui l’albergo è gigantesco, un immenso e scintillante castello incantato. Tutto è gigantesco. Anche le montagne. Ci sarebbe da spaventarsi. Non sono mai state così nere. La luna non è ancora sorta. Sorgerà soltanto nell’ora del grande spettacolo sul prato, quando il signor von Dorsday chiederà alla sua schiava di danzare tutta nuda per lui. Che m’importa del signor Dorsday? Suvvia, madamigella, che storie sono queste? Non era già disposta a scappare chissà dove, a diventare l’amante di uomini sconosciuti, a passare da uno all’altro? E adesso si impunta per questa sciocchezzuola che il signor von Dorsday pretende da lei? Non era pronta a vendersi per un vezzo di perle, per qualche bel vestito, per una villa sul mare? E per la vita di suo padre, no? Vale dunque tanto poco per lei? Pensare che invece sarebbe un inizio perfetto. Che subito le darebbe un alibi per fare qualsiasi altra cosa. Siete stati voi, potrei dire poi, a spingermi a questo, se sono diventata così la colpa è vostra, di voi tutti, non solo del papà e della mamma. Anche Rudi e Fred sono colpevoli, e tutti quanti gli altri, perché nessuno si occupa mai di com’è fatta un’altra persona. Bacetti e carezze perché sei tanto bellina, un po’ di inquietudine quando hai la febbre, poi ti spediscono a scuola, e a casa ti fanno imparare il pianoforte e il francese, d’estate ti portano in campagna, per la tua festa ricevi qualche regalo e a tavola si parla del più e del meno. Ma di ciò che mi passa dentro, di ciò che si agita nel mio animo e mi fa paura, di questo vi siete mai preoccupati? Qualche volta dallo sguardo di papà si capiva che lui aveva intuito qualcosa; ma era questione di un attimo. Subito dopo era di nuovo tutto preso dalle sue preoccupazioni, dagli affari, dal gioco in Borsa…e con ogni probabilità da qualche donnina, ‘detto tra noi non proprio finissima’, che incontrava in segreto… e io, io mi ritrovavo sola. Ebbene, papà, che faresti adesso, che ne sarebbe di te se oggi non ci fossi io?”.

 

 

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