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Gianni e le donne

Regia di Gianni Di Gregorio vedi scheda film

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La recensione su Gianni e le donne

di lao
6 stelle

 

 

Le donne per gli uomini-e gli uomini per le donne-rappresentano la terra del rimpianto, dei sogni mai realizzati, dell’appagamento dei sensi, sono la patria ideale a cui tornare o da cui fuggire, raffigurano l’allegoria carnale della felicità possibile o irraggiungibile. Di Gregorio in “Gianni e le donne” confessa in forma di diario intimo la propria personale Odissea all’interno dello sconosciuto e idolatrato pianeta muliebre: si tratta in tutta evidenza di un viaggio soprattutto interiore, motivato dall’urgenza di risvegliare un’esistenza consegnata all’inerzia di una senilità forzata. Gianni ( lo stesso regista), il protagonista, pensionato 60enne, non avendo interessi suoi, vive praticamente al servizio delle donne della famiglia, la tirannica e capricciosa madre ( la 95 enne Valeria de Franciscis, davvero arbiter elegantiae!), la moglie e la figlia impegnate nel lavoro e nello studio, la bella vicina di casa festaiola: le sue giornate trascorrono, malinconicamente inutili, fra commissioni e passeggiate con il cane, con la sola  compagnia del boyfriend  della figlia disoccupato, trasferitosi in casa sua in pianta stabile. Una prigionia gentile a cui sarebbe facile sottrarsi, stando a quanto gli suggerisce l’amico avvocato gaudente: quasi tutti, arrivati a una certa età, imparano a godersi la vita, basta trovarsi un’amante, passeggiare con lei e rincorrersi fra il verde di Villa Borghese. Convintosene, Gianni inizia un goffo tentativo di sottrarsi ai legami del microcosmo che lo tengono strettamente avvinto, mettendo alla prova le sue potenzialità di eventuale amante con le donne che ha conosciuto e che conosce, la badante della madre, la vecchia amica, il primo amore. Sono incontri fugaci, senza consistenza, e ciascuno lascia sul volto dell’uomo un’ombra lieve, un sorriso triste, uno sguardo rassegnato. “Sei un gentiluomo” dice l’aristocratica mamma al figlio, evocando cosi l’impotenza del protagonista di adeguarsi alla materialità dei tempi: egli difetta di coraggio e di impudenza, se esce da Trastevere si perde per le strade di Roma, come in un labirinto, e per lui   la figura femminile resta  un miraggio ossessivo.   Un borghese senza qualità dunque, una sorta di  Oblomov romano, l’inetto ritratto spesso dai classici della letteratura del ‘900, spaventato dal passere degli anni ed incline alla depressione nevrotica.  Se la  sfiduciata inconcludenza di lui è malattia, difficile dire dove stia la salute. Non è un caso infatti che egli stia bene insieme al giovane fidanzato della figlia, rannicchiati entrambi nei rispettivi vagheggiamenti sentimentali frustrati ed indifferenti al mondo intorno a loro: vanno dove li porta il cuore e il cuore li porta dritto all’ombelico, forse l’unica strada rimasta sgombra dai detriti.   mio blog: http//spettatore.ilcannocchiale.it

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