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Potiche. La bella statuina

Regia di François Ozon vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Potiche. La bella statuina

di ed wood
8 stelle

Fra i suoi mille travestimenti d'autore, Ozon questa volta opta per un brillante ritorno alla "sophisticated comedy" della vecchia scuola hollywoodiana. I tempi sono quasi perfetti. Il "quasi" è d'obbligo, sia perchè l'ingegneria di Hawks, il tocco di Lubitsch, la classe di Cukor sono perse per sempre, sia perchè, come è risaputo, ad Ozon, da buon post-moderno, la perfezione non interessa minimamente. "Potiche" è un altro dei suoi squisiti film aperti, in tutti i sensi: non c'è vera catarsi nel processo di emancipazione della bella statuina Deneuve, come non c'è una chiave di lettura che prevalga sulle altre. In questa girandola di cambi di prospettiva, rivelazioni sconcertanti lasciate scivolare addosso come niente fosse, perversi intrecci di passioni pubbliche e private, passati che ritornano sotto forma di improbabili, idilliaci, patinati flashback, ci si dovrebbe perdere, se non fosse per una regia votata a non disperdere ritmo e soprattutto di non soffocare i personaggi. Come in Desplechin, ma con molta più leggerezza, senza il fardello di un puntiglioso scandaglio psicologico. Ozon è abilissimo nell'evitare di cadere nella farsa, nel pastiche, nel grottesco puro, mescolando toni e stili in modo da rispettare sempre l'umanità e la complessità dei personaggi, che mai diventano mere caricature. Film sulla (in)fedeltà, a un partner come ad una causa politica o alla propria classe sociale, dove non vi sono certezze e nulla è come appare, salta a piè pari il giudizio morale e capovolge ad ogni sequenza il senso della visione. La parabola femminista della "bella statuina" non è affatto, come può suggerire anche il finale in stile "musical", un elogio riconciliato ad un concetto di riscatto "di genere" che prevale anche su quello "di classe" (come a dire: è più probabile una donna al potere che un proletariato libero): l'ascesa della Deneuve porta con sè la sinistra ombra di un cinismo individualista lasciato fermentare, celato e poi sfoderato al momento giusto. Non è un'eroina: nessuno si salva nel mondo di Ozon, cineasta "relativista" se ce n'è uno. "Potiche" è anche un gustoso ed ironico spaccato di un'epoca, della Francia pre-Mitterand, dei conflitti sociali dell'epoca, senza nostalgia, straniato invece da uno sguardo smaliziato; ed è soprattutto, come gli altri film di Ozon, un testo stratificato e proteiforme, sviscerabile a piacimento, un'allegra e beffarda riedizione della "regola del gioco" di renoiriana memoria, sorretta da un superlativo comparto attoriale.

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