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Love

Regia di William Eubank vedi scheda film

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La recensione su Love

di alan smithee
6 stelle

Durante una delle battaglie cruciali della Guerra di Secessione americana, seguiamo un soldato aggirarsi tra i cadaveri dei suoi commilitoni e degli avversari, per inoltrarsi in mezzo ad in canyon alla ricerca di un oggetto misterioso apparso in quelle zone impervie.

La scena successiva stacca completamente da tale ambientazione, e ci fa ritrovare all'interno di una navicella spaziale, ospitante un solo astronauta chiamato Lee Miller (ben reso da un attore sconosciuto ma dalla valida presenza scenica come risulta Gunner Wright, una sorta di aggiornato Keir Dullea di kubrickiana memoria) che, pur a suo agio in quell'ambiente particolare ove la circostanza lo costringe a vivere, si ritrova ancora più solo una volta che i contatti con la base terrestre cessano, isolandolo completamente in balia di una struttura nella quale dovrà cercare di adattarsi alle risorse disponibili, imparando a convivere con una solitudine che l'isolamento ha reso totale nella sua drammaticità senza apparente via d'uscita.

Può un uomo considerarsi tale anche completamente e forzatamente al di fuori della collettività di cui egli è inevitabilmente parte integrante e con cui ha sempre inesorabilmente interagito?

La dipendenza dell'essere umano da suoi consimili, può riuscire a divenire una caratteristica eventuale, o l'uomo per vivere una vita compiuta ne risulta inevitabilmente succube?

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In questo secondo caso, una guerra, e nel particolare uno scontro di natura civile che nel film elegge la Guerra Civile Americana ad emblema dimostrativo, non può far altro che disgregare quell'elemento distintivo e necessario a garantire quella vita stessa che lo scontro bellico in qualche modo ricerca nella sconfitta dell'avversario considerato una minaccia da debellare.

L'opera prima dell'interessante regista William Eubank, segnalatosi successivamente con positivi riscontri nei successivi e parimenti "fantascientifici" The signal" (2014) fino al recente e da me assai apprezzato "Underwater" (2020) recentemente uscito in sala, affascina e lascia interdetti per la complessità degli interrogativi esistenziali e morali che le due vicende - apparentemente lontane, storicamente e non solo - suggeriscono ed alimentano.

Il fascino della solitudine da microcosmo, peraltro alla base di opere straordinarie, se non inimitabili come il capostipite 2001 Odissea nello spazio, sino al successivo meraviglioso ed oscuro High Life di Claire Denis, lascia spazio a suggestioni che si alternano ad inquietudini non molto dissimili da quelle manifestate dal nostro tormentato protagonista.

Purtroppo il film, dal budget indipendente e frutto di un impegno quasi artigianale che tuttavia non traspare troppo dalla pregevole fattura ed organizzazione scenica assai professionalmente confezionata, si prende carico di eccessive ambizioni che inducono a disperdere lo stimolante filo conduttore delle due storie parallele, lasciando nel vuoto di uno spazio cosmico incolmabile il generosa e galvanizzante spunto alla base delle due misteriose vicende. 

 

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