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Tetsuo: The Bullet Man

Regia di Shinya Tsukamoto vedi scheda film

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La recensione su Tetsuo: The Bullet Man

di UjiOgami
6 stelle

Dopo la doppia digressione, con Nightmare Detective 1 e 2, in un horror più convenzionale ma pur sempre contraddistinto dalla sua cifra autoriale, Tsukamoto riparte dalle sue origini girando – a vent’anni di distanza! - il tanto agognato terzo capitolo (se ne parlava da oltre un decennio) della serie che lo ha reso famoso, Tetsuo. Il primo capitolo del 1989 ha rappresentato uno spartiacque nella visione del cyberpunk moderno, portando con sè uno sguardo innovativo e iconoclasta che ha influenzato i decenni a venire. In Tetsuo la carne viene lacerata, squarciata, l’uomo si trasforma in mutante, il suo corpo diventa un ammasso di metallo organico, una rappresentazione di una umanità che ha perso se stessa, alienata e schiacciata dalla Metropoli. Il tutto girato con uno stile registico che rompe qualsiasi schema, un cinema fatto di sole immagini, frenetiche e feroci, fino a diventare destabilizzanti (l’ormai celeberrima scena del pene-trivella). Tsukamoto combina soggettive, accelerazioni, animazioni in step-one in un tour de force per cuore e stomaco dello spettatore che viene condotto fino alla distruzione del mondo.

Nel 1992 esce Tetsuo II – Body Hammer, girato con un budget superiore, nel quale imbastisce una trama più lineare cercando di dare motivazioni a quella rabbia che trasforma l’uomo in metallo, pur mantenendo una certa continuità stilistica con il predecessore (ma girato a colori). Inutile dire quanto fosse atteso da chi scrive e non solo questo The Bullet Man, anche se le grandi aspettative celavano dei dubbi . Sarebbe riuscito Tsukamoto ad aggiornare il suo uomo di metallo a vent’anni di distanza? La decisione di girarlo in inglese con protagonista americano voleva dire concedersi ad un pubblico internazionale con tutte le conseguenze del caso?

Lo spunto di base di questo terzo capitolo è in linea con quello degli altri due: a Tokyo la tranquilla vita di un uomo d’affari americano (Eric Bossick), sposato con una giapponese (Mono Akiko), viene brutalmente interrotta quando suo figlio viene ucciso in un premeditato incidente stradale. Mentre l’uomo cerca di tenere per sè il dolore, la moglie lo istiga alla vendetta. Quando la sua rabbia verrà fuori, anche a causa della scoperta degli esperimenti condotti in passato dal padre che coinvolgevano la defunta madre (Nakamura Yuko), inizierà la sua trasformazioni in una devastante arma umana, con metastasi di metallo che invaderanno sempre più il suo corpo.

Da questo punto di vista The Bullet Man è sicuramente più vicino al secondo capitolo, la rabbia e la conseguente trasformazione in metallo sono originate dalla morte (lì era il rapimento) del figlio e provocate da un’organizzazione che ne vorrebbe sfruttare le capacità sovraumane, così come tornano gli sono oscuri segreti risalenti all’infanzia rimossa del protagonista. Maggiore cura è invece riservata ai rapporti di quest’ultimo col padre e con la moglie; un approfondimento che conferisce maggiore spessore umano ad un personaggio col quale è possibile empatizzare, quando invece nei due capitoli precedenti questo sembrava fungere più da simbolo spersonalizzato e universale del salariman .  Tsukamoto si regala ancora una volta il ruolo dello Yatsu, colui che ha il compito di “risvegliare” il protagonista e farne venire fuori la vera natura, in un (ormai logoro?) gioco metacinematografico sul ruolo del regista nei confronti dello spettatore. Così come appare abbastanza stanca la riproposizione dei suoi temi classici che purtroppo non vengono rielaborati, ma riproposti in maniera molto simile, soprattutto se paragonati al secondo capitolo (finale compreso) uscendone forse addirittura impoveriti dall’eccessiva verbosità della pellicola, con una sceneggiatura che si preoccupa troppo di spiegare, un difetto che mai aveva colpito Tsukamoto, il quale finisce col mettere fin troppa carne sul fuoco tra oscuri esperimenti sugli uomini, androidi, sicari e enti governativi.

Rimane però l’innegabile talento visionario del regista di Tokyo, il quale continua a girare con uno stile personalissimo azzeccando, questa volta sì, il restayling del suo uomo di metallo, a cui certo manca la freschezza del Tetsuo originale, ma la cui progressiva trasformazione, sempre più mostruosa, in arma semi-umana raggiunge livelli apocalittici nel finale, con ammassi di metallo fumante che una volta solidificatosi si staccano dal corpo. Così come la prima trasformazione, mentre scorre il titolo del film, aggiorna intelligentemente quelle dei precedenti capitoli, anche grazie alle capacità da danzatore di butoh di Bossick.

L’impressione finale è quella di uno Tsukamoto che certo non ha perso il “tocco”, ma che risulta comunque castrato da se stesso e dalle scelte produttive. Un esempio ne è l’uso dell’inglese che di sicuro non aiuta, soprattutto quando recitato dai giapponesi e penalizza una pellicola che, come si diceva prima, è fin troppo parlata se si pensa che nel primo Tetsuo il numero di battute totali si poteva contare sulle dita di due mani. Sembra quasi che dopo il capolavoro, summa di 15 anni di percorso autoriale, Vital (2004), Tsukamoto fatichi a trovare idee sulle quali elaborare nuove riflessioni e si ricicli su divagazioni “minori” o già completamente sviscerate in passato, mentre si affanna alla ricerca dell’ispirazione giusta che lo traghetti ad una nuova fase della sua  carriera. Le ultime tre pellicole comunque, pur non raggiungendo i migliori risultati della sua filmografia precedente, non sono da considerarsi veri e propri passi falsi, quanto piuttosto film “minori” di un regista che si spera avrà ancora molto da dire. In attesa di sapere qualcosa in più sul suo nuovo progetto (previsto per il 2012), la fiducia nei suoi confronti rimane intatta.

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