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Stanno tutti bene

Regia di Kirk Jones vedi scheda film

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La recensione su Stanno tutti bene

di LAMPUR
8 stelle

Non ho visto l'originale  “Stanno tutti bene” di Tornatore, del 1990, ma  difficilmente ritengo un clone questo De Niro alla ricerca dei suoi “bambini” in giro per l'America.

Un genitore rimasto vedovo,  con un legame tutto da restaurare coi quattro figli tutti lontani da casa, e come spesso accade mai cresciuti all'occhio di padre affettuoso ma esigente, ed incapace di instaurare un feeling come riusciva alla mamma, ora scomparsa.

Il film è la ricerca di quel tempo perduto, delle confidenze mancate, delle richieste inespresse, la presa di coscienza di assenze maturate (splendida la telefonata a casa nella consapevolezza di poter ascoltare solo la voce della moglie registrata in segreteria, unico conforto in un momento di particolare delusione).

C’ancoriamo ad una serie di siparietti delicati,  magari costruiti ad effetto, ma con garbo, come l'agognata reunion attorno ad un tavolo con tutti i figli visualizzati neanche adolescenti, ma già con la loro vita adulta disegnata addosso, ed è tenera la ricognizione per gli States di un De Niro disorientato, che attacca bottone con tutti, con quella naturalezza che riconosceremmo in un nostro genitore, e quella stessa voglia di raccontare  con generoso orgoglio dei propri figli.

Ed è il De Niro che ci convince di più, che accompagniamo volentieri, tra una foto di antiquata macchina fotografica a pellicola, ed un tentativo di sbrecciare nuovo spazio in quei figli inascoltati (Kate Beckinsale, Drew Barrymore e Sam Rockwell – già ammirato in Moon – tutti a loro agio nel rappresentarsi tenacemente svagati), incardinati nelle loro vite tra il ribelle e l’incompiuto, ma solidali nel salvaguardarsi e nel voler salvaguardare, ora, il papà da ulteriori traumi.

Un road(rail) movie che accorcia distanze rispolverando affetti.

Quelli che spesso teniamo chiusi in fondo ad un cassetto. A che serviranno poi, sembra dirci la storia, cosi timorosamente inutilizzati?

 

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