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Taxidermia

Regia di György Pálfi vedi scheda film

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alan smithee

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La recensione su Taxidermia

di alan smithee
6 stelle

Tre episodi eccentrici, ma apparentemente slegati uno dall’altro, costituiscono l’essenza narrativa bizzarra e controversa di questo singolare film che ha dato una certa visibilità internazionale all'estro visionario e spudorato del talentuoso regista ungherese Gyorgy Pàlfi.

In periodo di guerra, in un luogo imprecisato di campagna, un soldato sessuomane dal labbro leporino, deve tener testa agli ordini del suo severo tenente, ma in realtà coglie ogni occasione propizia per sfogare i suoi ardori sessuali tramite elaborati e creativi lavori di masturbazione.

Riuscirà ad avere anche un rapporto con la obesa moglie del suo superiore, la quale darà alla luce un figlio suo, nato con una coda suina a causa dei risultati dei maldestri congegni utilizzati dal folle in occasione di quel rapporto clandestino.

Anni dopo, durante gli anni del regime comunista, un ragazzo obeso cresce con la madre che lo induce a gareggiare in competizioni e sfide di mangiate a cronometro, che peraltro il ragazzo vince quasi sempre. Diventerà un campione, trovando una adeguata compagna, pure lei esperta in gare mangerecce.

Anni dopo, nella nostra contemporaneità, ci troviamo di fronte un ragazzo smilzo che di mestiere fa l’imbalsamatore (da qui il titolo che si riferisce alla pratica della tassidermia), e che nei momenti di libertà accudisce un vecchio così obeso da non riuscire più a muoversi, che vive in una stanza davanti ad una tv impegnato ad ingurgitare qualsiasi cosa (anche barrette di cioccolato con la stagnola dell’involucro – “tanto l’intestino impara ad assimilare e ad interagire con qualsiasi cosa gli capiti appresso”), irriguardoso nei confronti del suo badante, che poi risulta per essere il figlio, e che, esasperato, è pronto a vendicarsi nel modo più opportuno.

Pàlfi, talentuoso e istrionico, ci racconta le strambe vicissitudini di tre generazioni della medesima famiglia, in un film bizzarro e repulsivo che si compiace delle scabrose scene portanti, tra sessualità malata e maniacale, competizioni di abbuffate fino a scoppiare in fiumi di vomito così sopra le righe ed esagerate, da far più sorridere che generare autentico disgusto (nell’accezione di “insopportabile”).

E il film, opera giovanile (datata 2006) diretta con stile e perizia sopraffina, a conferma di un talento tecnico indiscutibile e già evidente, ma certo anche narrativamente furbissimo, calcolato, sfrontato, poco omogeneo e strutturalmente un pò avventato, se da una parte intende rispecchiare i tratti salienti impossibili di una bizzarra storia di famiglia cui fa da sfondo emblematico e sconcertante la nascita ed il tramonto di un regime di per sé non meno assurdo e degenerato, ingannevole e ingordo - dall’altra pone in essere uno studio introspettivo semiserio sulle ossessioni che ci rendono prigionieri ognuno della propria ossessione: quella sessuale per un nonno incontenibile, quella dell’assimilazione incontrollata da parte di un padre campione di ingurgitamento, quella del minuzioso sezionamento di organi e corpi, da parte del segaligno capostipite, che si esprimerà - grazie al corpo del genitore - nella sua opera tecnicamente e macabramente più rappresentativa.

Un film un pò malato, che non si vergogna affatto di darlo a vedere, anzi tutto il contrario, e che per questo risulta osticamente e repulsivamente simpatico ed inconfessabilmente attraente nella ripugnanza del suo contesto.

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