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La macchina ammazzacattivi

Regia di Roberto Rossellini vedi scheda film

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La recensione su La macchina ammazzacattivi

di ed wood
5 stelle

Esperimento non riuscito ma coraggioso, con cui Rossellini tentò di emanciparsi dalla scuola neorealista, dopo averne realizzato ben 3 capolavori (la “Trilogia della guerra”). Si tratta di una bizzarra parabola cristiana a sfondo umoristico-fantastico, basata su uno script a 10 mani (come si usava all’epoca) tratto da un soggetto di Eduardo De Filippo, che provvede ovviamente a caratterizzare luoghi e personaggi rispettando l’inconfondibile folklore partenopeo. A questa specifica direttiva “localistica” si sovrappone l’approccio onestamente moralistico di Rossellini, intento a cavare dalla favola una serie di insegnamenti etici universali. Il tutto senza dimenticare i retaggi neorealisti. Già da queste premesse si può intuire come il film fatichi a trovare una propria cifra stilistica e ideologica, brancolando in un caos di idee anche geniali, ma mal governate e peggio bilanciate fra di loro. Film sgangherato, drammaturgicamente inconsistente, fiacco e prolisso, perennemente “fuori fuoco” dal punto di vista degli obiettivi, irrisolto nella scelta dei toni e senza bilanciamento fra le componenti, paga anche l’inettitudine dell’immenso Rossellini a maneggiare i tempi della commedia. Un copione del genere avrebbe dovuto prenderlo in mano un Monicelli, uno Steno, un Blasetti. Non certo l’inventore del cinema moderno! L’incipit e la chiusa, con una voce off che allestisce una cittadina di cartone e riassume alla fine la “morale” del film, chiarisce l’impronta giocosa dell’opera. Peccato che il gioco sia divertente solo a tratti. Quanti spunti sprecati! I turisti americani, la vecchia rancorosa, la parata di Sant’Andrea, il sindaco avido etc…sono tutte spinte eccentriche, che portano il film lontano dal suo obiettivo, disperdendone la forza grottesca. Indeciso fra l’affresco semi-documentaristico, la commedia di costume, il racconto morale e altro ancora, Rossellini finisce per banalizzare anche la riflessione sulla scivolosità delle definizioni di Bene e Male, per non parlare dello spunto fantastico (la “foto alla foto” assassina) del tutto trascurato nelle sue potenziali componenti teorico-metaforiche (d’altra parte, non è mai stato nell’interesse di Rossellini elaborare vertoviane “teorie dello sguardo”: al massimo si limitava a metterle in pratica, ma non in questa occasione). Resta tuttavia un piglio divertito e anti-drammatico, al limite della dissacrazione, nell’affrontare i temi della morte e della religione, nonché un acido ed impietoso ritratto dell’avidità e corruzione umana (specie quella di borghesi e politici). 

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