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Chéri

Regia di Stephen Frears vedi scheda film

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La recensione su Chéri

di FilmTv Rivista
6 stelle

Regista buono per tutte le stagioni, Stephen Frears possiede non di meno il dono di una robusta concisione. Oscillando tra il romanzesco puro e i residui del Free Cinema che fu, non dimentica mai di essere nato con la televisione. Come in Le relazioni pericolose, la precedente collaborazione dell’autore del celebrato The Queen con lo sceneggiatore Christopher Hampton, Chéri può contare non solo su un’altra magnifica prestazione di Michelle Pfeiffer, ma anche su una malinconia autunnale che la voce fuoricampo di Frears stesso denuncia come effimera e fatua. Se Le relazioni pericolose ambiva fastidiosamente all’accademia (perdendo il confronto con il Valmont di Milos Forman), Chéri, ancorato ai corpi dei suoi personaggi, ripropone il mondo della Belle Époque immortalato da Colette (pseudonimo di Sidonie Gabrielle Colette, 1873-1954) come se fosse uno sbuffo acidulo di talco. Léa (Pfeiffer) è un’anziana cortigiana che s’innamora di Chéri (un umbratile Rupert Friend), giovanotto affascinante e avvezzo alle fatiche della débauche. La madre del giovane, l’anziana rivale Madame Peloux (un’ineffabile Kathy Bates), nient’affatto contenta, s’industria affinché il viziato pargolo finisca nelle braccia di Edmée (Felicity Jones), la figlia di Marie Laure (Iben Hjejle), una sua ex collega. Il film si concentra soprattutto sul romanzo omonimo della scrittrice e solo il freddo accenno notarile di Frears sul finale rimanda al seguito delle avventure dell’avvenente Chéri. Avvolto in una nube di spleen, il film mette in campo la disinvoltura del regista nel muoversi fra pizzi e merletti, talami e abluzioni. Confrontandosi con le cronache di Colette, il regista evidenzia un distacco affettuoso che si fa segno di una partecipazione ironica diventando racconto di un tempo frivolo spezzato dall’avvento della Grande Guerra. Privo del respiro fatalista del miglior Ivory, Frears osserva il crepuscolo di una donna che evoca un sortilegio solo per i propri occhi: l’incanto della menzogna della bellezza riflessa nel corpo di un giovane arrogante e vano. Forse non lo sai, ma pure questo è amore.

 

Recensione pubblicata su FilmTV numero 34 del 2009

Autore: Giona A. Nazzaro

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