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Venerdì 13

Regia di Marcus Nispel vedi scheda film

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La recensione su Venerdì 13

di amandagriss
4 stelle

2009.

A distanza di (quasi) 30 anni, torna a riempire lo schermo la massiccia impassibile inquietante stazza del poco, anzi, per nulla, loquace e tanto enigmatico Jason Vhorees, il bucolico fratello minore di Michael Myers, star del fu (1980) Venerdi 13.

Lui, furbastra o geniale versione pop del suo più raffinato e criptico archetipo carpenteriano, partorito dall'immaginazione di un certo Sean S. Cunningham, che terrorizzò platee di adolescenti turbandone, forse per sempre, la quiete di spensierati giorni vacanzieri (magari proprio in riva a un lago) e probabili conseguenti approcci sessuali, forse i primi e, come tali, già di per sé problematici, è ancora tra noi.

L'uomo nero per eccellenza del relax yankee, sfuggito all'eterno abbraccio delle acque (il Crystal Lake), adulto, gigantesco e duro (anzi impossibile) a morire, è pronto a far scempio di corrotta carne fresca, fin troppo stupida, spavalda o ingenua, quando non del tutto ignara, per non considerare affatto la possibilità, seppur remota, di incappare nel soprannaturale killer, che la vox populi vuole alberghi ancora tra i resti del dismesso campus, a tutt’oggi ottusamente frequentato, entrato di diritto tra i luoghi della leggenda di cui pare sia piena l’America.

Già, perché bisogna sottolineare che una delle sue più quotate attrattive per la nuova ondata di giovani coglioncelli pipparoli e fumerecci è rappresentata da una notevole piantagione di verde rigogliosa marijuana che cresce (spontaneamente?) nel bosco dell’assassino a cui garba andare in giro con indosso sul deforme faccione una sinistra malmessa maschera da hockey -che lo fa più tosto e, di certo, lo rende più sicuro di sé- armato di un machete affilatissimo, con cui tentare all’occorrenza, visti i tempi infausti, una strenua difesa da eventuali assalti di stranieri venuti da lontano.…..

Per il resto, niente di nuovo sotto i colpi ben assestati della fida lama tagliente come di scure volanti, frecce scoccate con la precisione di un campione di tiro al bersaglio, grossi spuntoni, vigorose mani nude, insomma, degli abituali ‘ferri del mestiere’ che il nostro ultimo boyscout maneggia con estrema disinvoltura ed un pizzico di sano -per lui-, de­leterio -per le sue vittime- sadismo. Il lungo prologo ci catapulta in quello che è concettualmente Venerdì 13, ovverossia uno slasher movie che fonda la sua ragion d’essere sul body count (conta dei cadaveri), formula visivo-narrativa che una volta avviata non si ferma più, snocciolandosi velocemente su una trama pretestuosa e fragilissima, che gira in tondo, non propone sbocchi di scrittura né dimostra il minimo interesse nei riguardi delle psicologie dei personaggi-strumenti, se non nel momento della presa di coscienza, per giunta tardiva, riguardo al grosso guaio in cui questi poveri imbecilli sono andati a ficcarsi e alla loro impotenza di fronte all’ineluttabilità di un destino crudele, beffardo e tragico incarnato in un mostro che di umano conserva appena le fattezze.

Il film, quindi, non tenta e non intende avviarsi su altri sentieri che non siano quelli sovra citati, per cui ripete in automatico e senza alcuna ispirazione né creatività le sempiterne gesta assassine del nostro lupo solitario.

Ma, forse, la volontà della Platinum Dunes (che produce) è proprio quella di aderire fedelmente all’opera originale nei modi, nei tempi e negli ammazzamenti vari, che sanno fortemente di déjà vu, come a voler ricalcare lo schema narrativo del 1980 su carta carbone patinata.

Questo nuovo Venerdì 13 risulta, perciò, oltre che un moscio omaggio filologico, una deludente (ma quanto ancora può deluderci ?), irritante sbiadita fotocopia degli stanchi episodi che lo hanno preceduto.

Il film di Nispel non spaventa, non turba né inquieta, in compenso, muove all'ilarità involontaria proprio di fronte alla sterile ostinata ripetitività della storia, al fatto che l'unico, a memoria d'uomo, ad uscire indenne dalla morsa fatale del nostro ragazzone boscaiolo è Jared Padalecki, perché lui -va ricordato- è Sam, il temprato invincibile cacciatore di demoni e creature del male assieme al fratello Dean nel serial tv di culto Supernatural. E perché veniamo a conoscenza che il selvaggio, abbandonato e piuttosto isolato Crystal Lake è, in realtà, un rinomato luogo residenziale costellato di signorili villette per bollenti week end di scialbi e molesti rampolli figli di papà. E perché i poco espansivi e assai bruttini autoctoni/vicini di casa conoscono e tollerano i pittoreschi misfatti ‘della domenica’ del loro eccentrico compaesano (sottile metafora dell'orrore della porta accanto?). E perché, ancora e soprattutto, questa pellicola continua, sfrontata, a saccheggiare il modello d’origine carpenteriano anche nel feroce remake ‘ragionato’ diretto da Rob Zombie, quando ci mostra il lato umano, in rapporto agli affetti familiari, di una creatura presentataci sempre come un’implacabile macchina di morte, priva di emozioni e di pietà.

Prodotto assai mediocre il cui unico pregio è quello di aver restituito dignità a quel segugio randagio predatore che è Jason Vhorees, ricollocandolo nell'unica dimensione a lui congeniale, il campus Crystal Lake dove è nata la sua leggenda, perché troppi, terribili, tutti uguali sequel (10 episodi in tutto) lo hanno, per lungo tempo, mortificato, strappato al suo contesto naturale (ricordiamo la trasferta nella Grande Mela), fatto incontrare/scontrare nel tutt'altro che memorabile ma divertente duello con il re degli incubi Freddy Krueger e trasportato finanche nello spazio siderale, ibernato dal professore matto David Cronenberg (Jason X).

Così, quando in prossimità di un bosco, magari con lago annesso, ci vien voglia di provare un brivido lungo la schiena, ricordiamoci che il nostro beniamino è lì, in agguato, magari nascosto dietro a un albero a fissarci, mentre stringe nella mano il suo inseparabile, affilatissimo, machete.

 

 

 

 

 

 

 

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