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Nine

Regia di Rob Marshall vedi scheda film

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La recensione su Nine

di lamettrie
9 stelle

Un grande film, per me decisamente sottovalutato.

La sfavillante e travolgente messa in scena poteva avere tra i suoi limiti la superficialità, come spesso accade in questi casi. E invece così non è. Non c’è un momento di pausa: e il ritmo è un pregio di un film. Ma lo è ancor di più quando è funzionale a rendere ciò si vuol dire: il protagonista non si deve mai poter fermare. Perche infatti, non appena si ferma, inizia a ragionare. E, dato che non ha alcun equilibrio morale, gli conviene non ragionare. L’effimera gloria del cinema gli ha dato in sorte questo destino: un gran talento, che gli ha già procurato tutti i soldi che gli servono per la tranquillità economica, se non poi sciupati; però tale prodigioso talento il protagonista non riesce a conciliarlo con un minimo di regole morali che gli permettano di vivere in modo appena felice.

Il protagonista è interpretato da Daniel Day Lewis: cioè dal top della storia del cinema, a mio modestissimo avviso. E infatti tale parte, così problematica, è resa alla perfezione: il film resta sempre sospeso sulla vertigine di qualcosa che va fatto, di qualcosa che si richiede di essere compiuto per il fatto che altrimenti si rischiano conseguenze indesiderabili per tutti, e innanzitutto per colui che deve fare tali scelte. E tale protagonista vive di questa indeterminatezza, vive del fatto che altri si aspettano un suo gesto clamoroso, o roboante, o miracoloso alla vista. Insomma, vive da superdotato, eppure non fa mai fino in fondo quello che da lui ci si aspetta, proprio perché non ha la struttura psicologica sufficientemente robusta per poter sostenere tutte queste aspettative nei suoi confronti, che pure sono così legittime.

Il protagonista vive male. E quindi appare un ottimo epigono della cultura decadente: ha avuto delle fortune, nel riuscire a trasmettere un qual certo senso della vita della vita diffusamente condiviso; ha avuto la fortuna di poterci guadagnare sopra, e quindi non fare il morto di fame; eppure vive male: è triste, è depresso fondamentalmente, è ostaggio dell’ansia che lo attanaglia, nei pochi giorni che sono oggetto della trattazione di questo film. È sempre sospeso tra il godimento dello sfuggente presente e l’angoscia di fondo da cui non riesce a scappare.

La grande fantasmagoria del film, che include l’eccellente cast, serve da contorno proprio e solo all’universo mentale interiore del protagonista: non posso entrare nella testa del defunto Fellini; ma, per quel poco che ne so, credo che lui avrebbe apprezzato questa pellicola, eccome. Proprio perché avrebbe trovato rispondenza dello smarrimento esistenziale, financo molto profondo sino all’infelicità, dei suoi stessi protagonisti, e quindi di sé stesso. Quando lui stesso non sapeva come portare avanti nel film le sue idee, come è riportato dalle cronache, così Day Lewis conferma in questo film: un regista osannato, una persona infelice e smarrita, nonostante possa godere del corteo di mille lussi e di mille corteggiatori.

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