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Nine

Regia di Rob Marshall vedi scheda film

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La recensione su Nine

di LorCio
2 stelle

È raro trovare un film di questo tipo. Fermo restando che, nonostante alcune sporadiche eccezioni, il musical è un genere che al cinema funziona ormai poco (penso, nell’ultimo decennio, ai casi di Moulin Rouge! e Chicago) e che ha ritrovato una nuova linfa nello sfruttamento teatrale con il coinvolgimento di divi televisivi, in una specie di banalizzazione generale. Il principale difetto di Nine è proprio questo: la banalizzazione. Non so fino a che punto il musical originale poteva essere diverso, ma il problema di fondo sta nell’ispirazione felliniana: quanto 8 e ½ è complesso, stratificato, anomalo, tanto Nine è banale, superficiale, presuntuoso.

 

 

Pur volendo attingere ad un universo più che ad un film in particolare (che in ogni caso è un colosso d’arte la cui sola visione provoca un diluvio di sensazioni, riflessioni, emozioni), sbaglia completamente il tono e le ambizioni, preferendo gli stereotipi all’audacia onirica, i luoghi comuni alle invenzioni sentimentali di Federico. Sceglie la via più semplice, e canzoni come Cinema Italiano (Kate Hudson) e Be Italian (Fergie) sono emblematiche proprio nella rappresentazione di un mondo che non c’è mai stato, se non nella fantasia totalitarista degli americani (tanto per fare un esempio, si mischiano elementi della tradizione napoletana con atmosfere adriatiche in un contesto romano, con una non poco invasiva celebrazione della moda nostrana).

 

 

La stessa decisione di affidare a Sophia Loren il ruolo della madre fantasma è un luogo comune, perché per il mondo la Loren è il cinema italiano, ma noi sappiamo che oramai è un’icona più che un’attrice. Non ne esce bene nemmeno la Francia, accostata alle Folies Bergères nel numero dell’anglosassone purosangue Judi Dench. Ci sono momenti interessanti, più che altro affidati alle donne che, nonostante tutto, sono il motore del film (tutte brave, ma si perdono nel brodo), ma è un trionfo di kitsch involontario, mediocrità insopportabile, glamour inutile, con un inaudito Daniel Day-Lewis senza alcuna cognizione di causa (mal doppiato dal buon Pierfrancesco Favino) in quella che, forse, è la prova peggiore della sua oculata e preziosa carriera.

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