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La cavalcata dei resuscitati ciechi

Regia di Amando de Ossorio vedi scheda film

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sasso67

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su La cavalcata dei resuscitati ciechi

di sasso67
6 stelle

Seconda avventura per i morti senza occhi. Se nelleTombe dei resuscitati ciechi i Templari uscivano dai sepolcri di un cimitero adiacente ad un monastero abbandonato posto in una regione deserta, qui, non si sa perché, escono da un camposanto vicinissimo ad un villaggio. Gli abitanti - stranissima gente - di un villaggio spagnolo o portoghese (non si capisce bene) festeggiano (?) con i fuochi artificiali il cinquecentesimo anniversario del rogo con il quale i loro antenati giustiziarono una setta di Templari rientrati dall'oriente importando dei riti satanici tesi a vincere la morte mediante sacrifici umani e laute bevute di sangue di vergine. Il primo problema, piccolo in confronto agli altri, è che il pirotecnico è l'ex amante dell'attuale fidanzata del sindaco del paesino, un anziano ciccione avido di denaro. Come se non bastasse, la ragazza (della quale da ragazzi avremmo detto "è brutta ma ci ha der maiale addosso") è concupita anche dal forzuto aiutante del primo cittadino. Oltre tutto, c'è uno scemo del villaggio che è convinto che i Templari resuscitino per vendicare le angherie che è sempre stato costretto a subire dai compaesani, adulti e bambini. Quando la festa è in pieno svolgimento, e tutti stanno ballando in piazza, i resuscitati ciechi arrivano con i loro cavalli al rallentatore (v. il film precedente) e, con una ben coordinata carica di cavalleria, sterminano la brava gente di Berzano. Riescono a fuggire soltanto poche persone: il fuochista, il sindaco, l'aiutante, la fidanzata, una famigliola con una bambina, lo scemo del villaggio e una biondina un po' ninfomane. Il gruppetto si rifugia in chiesa, ma i morti senza occhi li assediano da fuori. Per fortuna i satanici cavalieri hanno paura del fuoco e rispettano i bambini. E soprattutto, diversamente da quanto avveniva nelle Tombe dei resuscitati ciechi (dove caricavano alla luce del sole come se niente fosse), si dissolvono all'apparire dell'alba, come se fossero spaventapasseri di cencio e paglia.

Il secondo film di de Ossorio sui resuscitati ciechi fa intravedere che ormai la saga è già al termine, perché un'idea, seppure brillante (anche se ricavata dall'intuizione zombesca di George A. Romero), non può essere spolpata all'infinito. Il difficile è, in modo particolare, imbastire una sceneggiatura credibile che giustifichi gli sviluppi drammatici che conducono ad un finale tutto sommato abbastanza lieto. Il talento (più che registico) visivo e visionario di de Ossorio non è in discussione, perché anche qui sono inserite immagini inquietanti di paesini iberici che sembrano usciti dai villaggi del Don Chisciotte o del Manoscritto trovato a Saragozza, ma la trama sconta cadute nella satira di bassa lega, come dimostra la figura macchiettistica del ministro dell'interno, che si riempie la bocca di belle parole ma pensa soltanto alle gozzoviglie (ed è forse per questo che il film si pensa ambientato in Portogallo, dato che il generalissimo Franco non avrebbe apprezzato più di tanto che si ridicolizzasse un suo ministro). E poi vi sono cadute nell'incredibile che non si possono accettare neanche in un horror di questo tipo: passino i Templari arsi sul rogo che si risvegliano nel quinto centenario per vendicarsi dei discendenti di coloro che li misero a morte, passi anche che mentre i pochi superstiti sono assediati in chiesa da quegli scheletri malintenzionati l'aitante Da Costa pensi a farsi l'atticciata Vivian, ma quando gli assediati trovano un telefono in chiesa (mah!) non potevano telefonare alla più vicina stazione di polizia anziché chiamare due volte quell'imbecille del ministro?

Gli attori fanno quello che possono, soprattutto il nostro Luciano Stella (in arteTony Kendall), anche se vedere il grassoccio Fernando Sancho, che siamo abituati a vedere nella parte del cattivo messicano nei film di Franco e Ciccio, recitare una parte seria lascia una certa sensazione di straniamento quasi brechtiano. Giudizio critico sintetico sul film: sufficiente, nonostante tutto.

 

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