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Il Buono, il matto, il cattivo

Regia di Kim Ji-woon vedi scheda film

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La recensione su Il Buono, il matto, il cattivo

di giurista81
8 stelle

Western coreano che recepisce, rielabora e fa propria la lezione offerta dagli spaghetti-western, spostando il format tipicamente americano e poi italiano nella Manciura (qualcosa del genere era già stato fatto, a fine anni '60, da Lo Straniero di Silenzio di Vanzi). Kim Ji-Woon, lo si intuisce già dal titolo, parte da Leone, a cui offre più di un omaggio nel finale (ricerca dell'oro nascosto, triello con primissimi piani sugli occhi dei tre, sfida a chi colpisce i cappelli come Eastwood fa ai danni di Van Cleef ne Per Qualche Dollaro in Più) per raccontare una storia non troppo originale nei contenuti, ma messa in scena con grande gusto per il cinema di genere.  Il ritmo è serrato, così come il montaggio e ci sono delle sequenze degne di un capolavoro del cinema d'azione (si veda tutta la parte finale, in particolare l'inseguimento in cui entra in azione persino l'esercito giapponese, commentata da Don't let me be misunderstood, tra cannonate, smitragliate e cadute con la macchina da presa a emulare persino la soggettiva di chi viene travolto dai cavalli in corsa).

La sceneggiatura, dello stesso regista, propone tre canaglie che si contendono una mappa rinvenuta in un treno assaltato a inizio film, come Un Treno per Durango di Mario Caiano. Abbiamo un cacciatore di taglie che emula Clint Eastwood pur essendo meno intelligente e meno spaccone, un buffone considerato ladro di polli che poi si scoprirà avere un'identità segreta connessa a un passato da assassino e un cattivo che non lesina nello sparare ai suoi uomini pur di perseguire i propri obiettivi (uccide peraltro il suo dante causa, un po' come il cattivo di Leone assassina Livio Lorenzon a inizio film). Il tutto incastonato in una Manciura dove brulicano ribelli che lottano per l'indipendenza della Corea (addirittura un gestore di una camera chiusa che si erge in un posto isolato nel deserto) e forze governative giapponesi che vogliono soffocare ogni forma di protesta.

Ji-Woon plasma così il suo western con ambientazione orientale, guardando soprattutto al cinema italiano, sia come contenuti che come stile. Sparatorie, cadute spettacolari, esplosioni, soluzioni sopra le righe (il matto che indossa uno scafandro antiproiettile o un membro della banda del cattivo che va in giro con un martellone stile quello di Thor) e grande gusto per l'esagerazione (il matto che si libera da una prigionia piantando coltelli e oggetti acuminati nell'ano dei carcerieri, bizzarria a cui fa seguito l'esilarante commento degli inquirenti: guardate che razza di sadico!). C'è anche una lieve strizzatina d'occhio al cinema di Hong Kong, col protagonista che, azionando alcuni verricelli, vola in aria a emulare le gesta tipiche del wuxian, mentre spara agli aversari con un winchester. 

Le interpretazioni sono buone, in particolare convince Kang-ho nei panni del matto (guida una sidecar, calza un berretto da motociclista di inizio secolo scorso e usa due pistole semi-automatiche). Non male poi alcuni volti, da spaghetti-western, di alcuni componenti della banda del cattivo e di quella dei ribelli (vogliono la mappa per utilizzare il tesoro per l'indipendenza della Corea) che poi si troverà a scontrarsi sia con la banda del cattivo che con il gruppo dei soldati giapponesi (caratterizzati alla stregua delle forze governative messicane dei tortilla western). La fotografia è accesissima, forse troppo, ma alla fine non guasta la visione. Sfarzose le scenografie, sia interne che esterne (quest'ultime desertiche a ricordare l'essenza del western americano), a manifestare l'esistenza di un budget assai corposo. Bruttina la colonna sonora, a parte l'azzeccato inserimento del citato brano dei Santa Esmeralda a commento della sequenza (assai lunga) più bella del film (omaggi anche a Sergio Corbucci, penso al montaggio dell'assalto finale in Vamos a Matar, Companeros) e degna di esser menzionata in un'antologia dedicata ai prodotti figli dello spaghetti western (qualche omaggio anche all'assalto al mucchio selvaggio de Il Mio Nome è Nessuno).

Da vedere per tutti gli amanti degli spaghetti western. Azione e divertimento assicurato, pur se al servizio di una sceneggiatura che sviluppa in modo poco tamarro (nei dialoghi) un soggetto trito e ritrito. Epilogo in stile Si può Fare Amigo di Lucidi, a sua volta debitore dI Giant interpretato da James Dean, con i tre che assistono beffati a un epilogo in cui il tesoro è metaforico (almeno per l'epoca) ma comunque degno di tal nome se visto con occhio moderno. Buono e grande regia, pur se estremamente modaiola, tra Tarantino e l'abitudine di infarcire la visione con continue riprese aeree e accelerazioni visive (soluzioni simili a quelle adottate in Blueberry dal francese Kounen).

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